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Introduzione al tema "ECOSISTEMA SUOLO"

Un possibile approccio didattico e alcune riflessioni riguardo ad un'uscita sul campo

Le riflessioni che seguono si riferiscono all'approccio didattico che abbiamo seguito per introdurre lo studio dell' "ecosistema suolo" con i partecipanti al primo incontro residenziale del seminario sull'insegnamento delle scienze (SeNIS) tenutosi a Lugo di Romagna nel 1998.
La scelta di quest'argomento è stata motivata da molte ragioni: il suolo rappresenta un sistema molto complesso, ma abbastanza facilmente separabile nelle sue componenti, biologiche e abiologiche, e quindi adatto per uno studio analitico e per l'identificazione delle molteplici interrelazioni tra componenti; è un sistema che si trova dappertutto e può essere facilmente trasportato a scuola e mantenuto per tempi anche lunghi; per il suo studio può essere sufficiente limitarsi ad una strumentazione povera, autocostruita con semplicità ed economia; i livelli di analisi e di approfondimento possono essere diversificati, a seconda degli interessi, del livello e del contesto scolastico; offre molteplici agganci interdisciplinari, e non solo tra discipline scientifiche; il suo studio mostra infinite relazioni con attività umane e con problemi concreti, con cui ci dobbiamo confrontare oggi (agricoltura, difesa dell'ambiente, frane, erosioni e alluvioni, desertificazione, inquinamento…).
Quale approccio didattico abbiamo proposto ai partecipanti?
Abbiamo proposto un approccio che potrebbe essere concretamente utilizzato a scuola, e cioè quello di tentare di guardare le cose con gli occhi di un ragazzo della scuola media, ma con uno sguardo non ingenuo e impreparato. L'osservazione ha la necessità di un qualche modello, di una qualche intenzione, altrimenti si perde nella complessità della realtà.
Per citare, non un pedagogista, ma uno stravagante e poliedrico medico e scienziato del '500, e cioè Paracelso, nel suo libro sui giganti, gli gnomi, le fate, gli elfi, troviamo scritto: "Chi guarda, vede". Vede cioè chi è mosso da un'intenzione, da una qualche conoscenza motivante. L'osservazione è un'attività mentale, non semplice recezione di stimoli.
Dal confronto tra un qualche primo modello, schematico e semplice, da qualche prima conoscenza (fornita, ad esempio dall'insegnante) nascono consegne e intenzioni che, confrontate con la complessità della natura, possono produrre quello "spaesamento" di cui ha parlato, nello stesso seminario, Paolo Guidoni. Spaesamento da cui possono nascere quesiti, problemi, proposte. L'approccio diviene attivo e non solo recettivo. Così possono nascere (o possono essere provocate dall'intervento dell'insegnante, come guida che stimola e non trascina) domande fondamentali, come, in questo caso, "Come è nato il suolo? È sempre esistito?" che pongono in una prospettiva evolutiva questo ecosistema.
E per l'incontro di Lugo abbiamo avuto la fortuna di poter porre queste domande in un luogo eccezionale, in un immenso scenario spazio- temporale di trasgressioni marine e di mari che si essiccavano, di fenomeni geologici che hanno portato alla formazione di quella straordinaria formazione geologica detta "vena del gesso di Romagna", con le sue rocce formate da cristalli lucenti.
Questa domanda, semplice ma fondamentale, ha richiesto una prima risposta in termini di geologia e di chimica, collegando così la biologia con altre discipline, ma mettendo poi in moto tutta una serie di questioni che riguardano punti nodali, veri organizzatori cognitivi per la biologia, quali i concetti di ciclo, di equilibrio dinamico, di evoluzione, di irreversibilità di un sistema, di diversità biologica, di flussi di materia e energia, di evoluzione.
Concetti che, nonostante la loro generalità fondamentale, possono trovare un approccio relativamente semplice nello studio dell'ecosistema "suolo".
E. come sistema complesso, il suolo dà anche un'idea della "inesauribilità" del suo studio. Dà cioè un'idea concreta di quella "complessità" dei sistemi biologici che invita alla cautela, alla prudenza nell'intervento umano, per i meccanismi di amplificazione che si mettono in atto e la difficile prevedibilità delle sue conseguenze.
L' "inesauribilità" è una caratteristica dei sistemi veramente complessi, in cui l'analisi dei componenti di ogni sottosistema, e delle loro interazioni reciproche, appare veramente inesauribile, dato che, come in un sistema frattale, ogni parte del sistema si rivela altrettanto complessa del sistema nel suo insieme.
Ecco, queste sono alcune delle ragioni della scelta del tema "Suolo".
Per tornare al concreto dello specifico didattico, per ogni tema di lavoro proposto ai corsisti è stata scelta, per una prima presentazione, una postazione nel Parco del Carnè, nei pressi di Lugo, che comprende appunto parte della vena del gesso di Romagna (un prato soleggiato per i temi "Luce" e "Temperatura e calore", una parete di roccia gessosa per "Concetto di sostanza", una dolina circondata dal bosco per "Sensazione e percezione" e infine una zona di bosco umido per il tema "Suolo").
L'approccio descritto può servire come esempio dell'inizio di un'attività che inizia sul campo, ma che poi ritorna a scuola per il suo sviluppo e approfondimento.
Tutti i corsisti, a piccoli gruppi, passavano via via attraverso le diverse postazioni, per alcune attività e osservazioni introduttive, preliminari alla scelta dei temi di lavoro cui si sarebbero dedicati nel corso del seminario.
Per il tema "Suolo" è stato scelto, nel bosco umido, un roccione isolato, coperto di muschio, nelle cui crepe crescevano erbe e arbusti, e sul quale erano nati alberi che, con le loro potenti radici, continuavano ad allargare le crepe, spezzando la roccia con la forza impetuosa della loro crescita..
Davanti a questo roccione abbiamo chiesto ai corsisti di immaginare di essere un ragazzo di scuola media, di guardare le cose con l'occhio di un ragazzo di scuola media, e abbiamo chiesto che cosa avrebbero fatto davanti a questa roccia.
La risposta unanime è stata: "Avremmo tirato avanti, senza notarlo; avremmo chiesto se era l'ora di fare merenda; ci saremmo nascosti dietro la roccia per fare qualche scherzo ai compagni; avremmo guardato lì a destra per controllare se il prato fosse stato abbastanza piano per giocare a pallone".
Queste necessità dei ragazzi restano, e vanno rispettate, ma occorre anche qualcos'altro. E questo qualcos'altro è la capacità di guardare, di guardarsi intorno, con "semplice" curiosità o con una consegna precisa e uno scopo determinato, ma sempre con un'intenzione.
La stessa calma contemplazione di un paesaggio ha dentro di sé un'intenzionalità, ed è differente dal lasciar scorrere uno sguardo distratto e annoiato.
E' quindi necessario che i ragazzi abbiano avuto, prima dell'uscita, sul campo, semplici consegne, una semplice introduzione, un semplice modello. Dal confronto con la realtà potrà nascere (o potrà essere fatto nascere) quello "spaesamento" produttivo di cui abbiamo già parlato.
Davanti al roccione abbiamo fatto notare come questo fosse un eccellente modello di colonizzazione di una roccia, cioè di una successione ecologica.
La sequenza classica, colonizzazione da parte di licheni, formazione di un primo accumulo di terriccio nelle fessure, nascita di muschi, poi di piante vascolari, infine di alberi nelle spaccature più grandi, veniva subito alla mente.
Però, ad un certo punto ci siamo accorti che il fin troppo noto modello schematico di successione era sì uno strumento descrittivo e interpretativo di quello che avevamo davanti agli occhi, ma era anche contemporaneamente una benda davanti agli occhi. I licheni non c'erano, ma fino ad un momento prima di questa constatazione, tutti avrebbero giurato di averli visti, anche se, in questo ambiente umido erano sostituiti funzionalmente da patine di alghe microscopiche.
Ecco, un modello applicato frettolosamente alla realtà può essere una guida, ma anche un velo che si frappone tra noi e ciò che ci circonda.
Una seconda riflessione che ci è venuta in mente è che il modello della successione descriveva bene e interpretava bene la realtà, ma che, pur essendo coerente con la realtà, era un racconto, un interpretazione e non era stato effettivamente dimostrato.
Infatti tutte le tappe della successione ecologica della colonizzazione della roccia da parte dei vegetali erano presenti allo stesso tempo. Se si fosse davvero voluto dimostrare il modello, si sarebbero dovuti portare i ragazzi di fronte a rocce la cui superficie fosse stata esposta all'ambiente da tempi diversi, per mostrare effettivamente la successione delle tappe della colonizzazione.
In generale però non è sempre possibile dimostrare i modelli dei fenomeni naturali. E' vero che Bachelard (1947) scrive che "Senza dubbio, sarebbe più semplice non insegnare altro che il risultato. Ma l'insegnamento dei risultati delle scienze non è mai un insegnamento scientifico", ma se il modello "raccontato" interpreta ragionevolmente la realtà, può essere didatticamente valido. Se non può essere dimostrato, per ragioni di tempo, per difficoltà sperimentali o concettuali, per l'impossibilità di fornire le conoscenze adeguate, lo si può dire esplicitamente. E' un modello, cioè una descrizione, un'interpretazione schematica della realtà; non è dimostrato, ma potremmo dimostrarlo se…, ti sarà dimostrato se e quando… e così via.
Davanti alla roccia coperta di muschio sono nate altre due domande (le domande possono nascere, ma spesso si devono aiutare a nascere attraverso una discussione guidata): "Ma dove va a finire questa roccia che si disgrega sotto l'azione della pioggia, delle piante?" "E dove vanno a finire tutte queste foglie morte che si accumulano sotto gli alberi? Se non sparissero, anno dopo anno, lo strato di foglie sarebbe arrivato fino alla cima degli alberi".
Da queste domande si può far nascere la proposta di trasportare in laboratorio campioni di suolo e, con metodi inventati dagli stessi ragazzi o suggeriti dall'insegnante (che non restino però delle ricette, ma di cui si discutano principi e significato), cercare di capire dove è finita la roccia, e chi o che cosa ha distrutto le foglie.
Il modello didattico suggerito è quindi quello dell'insegnante che conosce alcune strade, è in grado di trovarne all'occorrenza altre, che sa suggerire quella che ritiene sia la strada migliore per quegli allievi, in quella situazione, e lungo quella strada accompagna e assiste, senza spingere, senza affrettare il passo più del necessario.

Prima dell'uscita sul campo, ai corsisti erano distribuite semplici consegne di lavoro, per la raccolta di campioni di suolo e di lettiera, per il prelievo di campioni botanici e per l'allestimento di colture di microrganismi del suolo, subito al rientro in sede, in modo che ci fosse un tempo sufficiente ad osservare le crescite microbiche. Gli altri campioni sarebbero stati studiati nei giorni successivi.
Le attività sul campo e quelle in laboratorio, i materiali e le schede fornite ai corsisti, sono state la base e lo spunto per le rielaborazioni e le sperimentazioni che i singoli insegnanti hanno poi condotto negli anni successivi con i loro ragazzi.

Bruno Bertolini - novembre 2001


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