L'occhio La struttura L’occhio
umano possiede una singola lente: il globo oculare occupa la cavità
orbitaria del cranio ed è fatta di tre strati concentrici. Il più
esterno, bianco e robusto, è la sclerotica,
che nella parte anteriore è trasparente e si incurva verso l’esterno
formando la cornea;
internamente, nella zona mediana si stende uno strato vascolarizzato e
pigmentato, la coroide, che
presenta anteriormente un’apertura, la pupilla,
delimitata da un diaframma regolabile, l’iride.
Le cellule dell’iride sono pigmentate e definiscono il colore
dell’occhio: il diametro della pupilla è regolato da fibre muscolari
e non può essere variato a volontà, ma è governato da un riflesso
automatico, che serve a graduare la quantità di luce in entrata. Posteriormente
all’apertura pupillare sta il cristallino,
una lente biconvessa ad assetto variabile, che serve per
l'accomodamento dell'occhio: infatti il suo spessore può variare grazie
a muscoli specifici, i muscoli ciliari, in modo che l'immagine si formi
sempre sulla retina. Quando i muscoli sono a riposo il cristallino mette
a fuoco sulla retina oggetti molto
lontani; per focalizzare oggetti più vicini i muscoli si contraggono
aumentando così la curvatura della superficie del cristallino. Lo
spazio tra il cristallino e la cornea è riempito da un liquido
trasparente detto umor acqueo,
mentre quello dietro al cristallino è occupato da umor vitreo, di consistenza gelatinosa. Grazie
al potere di accomodamento il cristallino riesce a mettere a fuoco
distintamente ed immediatamente qualunque oggetto posto tra l’infinito
e una distanza minima di circa 25 cm detta punto prossimo. Il punto
prossimo varia da persona a persona e con l’età (intorno ai 45 anni)
si allontana in quanto il cristallino perde in parte la sua capacità di
adattamento (presbiopia). Altri
due difetti dell’occhio, che non dipendono dall’alterazione del
potere di accomodamento del cristallino ma dalla struttura
dell’occhio, sono la miopia e l’ipermetropia. Nella
retina i recettori luminosi sono di due tipi, i coni e i bastoncelli,
distribuiti in modo non uniforme: il 90% dei coni sono raccolti nella
zona intorno alla fovea centrale, dove vengono messi a fuoco tutti gli
oggetti che esaminiamo con attenzione. I bastoncelli hanno un picco di
sensibilità intorno a 510 nm, mentre esistono tre tipi di coni con
sensibilità diversa: massimo di sensibilità a 430nm (blu), a 530 nm
(verde) e a 560 nm (rosso). Ogni cono è collegato a una propria fibra
del nervo ottico, che si diparte dalla zona posteriore del globo
oculare, mentre nella zona periferica della retina, dove sono in grande
quantità, i bastoncelli fanno capo a un’unica fibra. I due tipi di
collegamenti nervosi permettono due funzioni distinte: i coni sono
specializzati per la visione dei colori nell’intensità della luce del
giorno, i bastoncelli per la visione crepuscolare in bianco e nero.
La sensibilità alla luce della fovea è circa 1000 volte
inferiore a quella della retina periferica. Se vogliamo quindi vedere un
oggetto poco luminoso, come una stella molto lontana, dobbiamo guardarlo
con la coda dell'occhio. Il vantaggio di avere una fovea, cioè di
possedere un'area estremamente ridotta e specializzata per la
registrazione di particolari anche minimi lo paghiamo con una ridotta
sensibilità alla luce. Possiamo
facilmente capire come nella zona del nervo ottico non ci possano essere
bastoncelli. Il diametro della zona è di circa 1,6 mm, otto volte
quello della fovea. Questo
luogo della retina è detto macula caeca (macchia cieca), essa non giace
sull'asse ottico dell'occhio ma a 20° dalla fovea.
Come risultato della presenza di tale zona dovremmo vedere un
"buco nero" dentro il nostro campo visivo. Sappiamo che ciò
non succede perché grazie ad un fenomeno detto di
"riempimento" il materiale visivo circostante all'area
invisibile viene riversato in essa e sistemato in modo appropriato. Il
funzionamento dell’occhio è molto semplice finché ci si limita al
cammino dei raggi luminosi e alla formazione dell’immagine sulla
retina. Dalla retina in poi tutto diventa più complicato. In che modo si passa dall’immagine che il cristallino
proietta sulla retina a quella che si forma nel cervello?
I messaggi provenienti dai sensi vengono decodificati
dapprima nel talamo e proiettati verso la corteccia cerebrale. Ogni
informazione giunge prima in un'area primaria poi in una secondaria dove
le caratteristiche dei singoli messaggi vengono messe insieme ed infine
in un'area associativa. Le aree associative sono in collegamento tra
loro, in questo modo è possibile rimettere insieme i diversi stimoli e
ricostruire la realtà. Immaginiamo
ad esempio di leggere un testo. I recettori della retina distinguono
solo un insieme di punti scuri e illuminati; successivamente vengono
riconosciuti i contorni delle lettere in modo particolareggiato. Al
livello più alto le forme percepite vengono paragonate con altre in
memoria: si arriva così al riconoscimento dell’alfabeto, delle
parole, delle frasi, cioè alla lettura. La
comprensione di come i fotorecettori convertano la radiazione luminosa
in segnali nervosi è un problema non ancora del tutto risolto, si pensa
ad un vero e proprio assorbimento quantico della luce, abbastanza forte
da produrre una reazione fotochimica. In tale reazione, particolari
pigmenti, la rodopsina nei bastoncelli e pigmenti diversi in ciascuno
dei tre tipi di coni, vengono scoloriti o “sbiancati”. Durante
questo processo i pigmenti producono sostanze chimiche capaci di
stimolare le terminazioni nervose. Naturalmente i pigmenti vengono
gradualmente rigenerati in modo che la capacità di visione permane. Più
alta è l’intensità luminosa in arrivo ai fotorecettori, tanto più
forte sarà il grado di sbiancamento dei pigmenti visivi. Il
nostro cervello funziona dunque come un contatore: tanti sono gli
impulsi nervosi che lo raggiungono in un dato intervallo di tempo, tanta
è la sensazione di luminosità. La luminosità non è determinata solo
dall’energia luminosa che arriva al nostro occhio, vi sono altri
effetti importanti, primi fra tutti i meccanismi di saturazione oppure
di adattamento dell’occhio alle condizioni di illuminazione, e inoltre
i fenomeni di contrasto rispetto allo sfondo o agli altri oggetti che si
stanno osservando. INSERIRE
IMMAGINE OCCHIO L'evoluzione dell'occhio Sappiamo
che un fascio di luce è costituito da un flusso di fotoni che viaggiano
in linea retta. Quando un fotone colpisce una molecola di una sostanza
colorata, come la clorofilla delle piante verdi, la molecola assume una
forma diversa e viene rilasciata energia. Negli animali l'energia può
provocare una reazione in una fibra nervosa. Oltre ai pigmenti
fotosintetici in natura esistono altri pigmenti colorati che potrebbero
essere scambiati per occhi rudimentali. I primi passi dell'evoluzione
dell'occhio potrebbero essere rappresentati dal perfezionamento
progressivo delle molecole di pigmento. Chiamiamo
fotorecettori
le strutture addette a rispondere agli stimoli luminosi, essi
possono essere semplici, capaci di fornire informazioni solo sulla
presenza o assenza di luce: i fotorecettori più semplici appartengono
ad organismi unicellulari o ad organismi come sanguisughe, stelle
marine, meduse. Animali di questo tipo percepiscono la differenza tra
giorno e notte e quando, ad esempio, un'ombra potrebbe rappresentare la
presenza di un predatore. Il
passo successivo è il riconoscimento della direzione del fascio di
fotoni. Un fotorecettore trasparente rivestito da un lato di uno schermo
scuro svolge questa funzione. La macchia oculare delle planarie ne è un
esempio, essa è priva di lenti e incapace di formare immagini, ma
informa sulla direzione della luce. Un
animale munito di un tappeto di fotorecettori, con schermo scuro,
ripiegato in modo che le fotocellule, nella curva convessa, guardino in
direzioni diverse rappresenta il passaggio successivo. Un occhio con
questa forma, anche se con successive aggiunte di cui parleremo più
avanti, è l'occhio composto degli insetti. Una
curva concava dà origine ad un calice, il nostro occhio ha forma a
calice. I fotorecettori disposti nei diversi punti del calice
funzioneranno quando sono colpiti dalla luce proveniente dalle diverse
direzioni. Un
occhio munito di fotorecettori, di schermo scuro e con forma a calice
vede tuttavia una infinità di immagini confuse. I raggi infatti che
arrivano ai fotorecettori provengono da tutte le direzioni e non solo
dall'oggetto posto di fronte all'animale. Anzi ogni piccola parte dello
stesso oggetto invia un raggio sulla retina. Il risultato finale è un
numero infinito di oggetti in ogni posizione possibile che copre la
superficie del calice. La
soluzione per ovviare a questi inconvenienti è aumentare la profondità
del calice e ridurre l'apertura fino alla grandezza di uno spillo, in
modo da filtrare una sola immagine dell'oggetto. L'occhio puntiforme,
privo di lenti, più evoluto è quello del mollusco Nautilus e delle
lumache di mare. Il
primo problema che sorge da un occhio puntiforme è dovuto alla
diffrazione, tale fenomeno dà origine ad una sfocatura che aumenta
tanto più il foro è piccolo. Un altro problema è che, perché
l'immagine sia nitida, bisogna che il foro sia piccolissimo, questo
fatto naturalmente porta ad una riduzione di luce che passa attraverso
il foro, l'oggetto allora può essere visto solo se illuminato da una
luce di grandissima intensità. Per risolvere tale problema occorre
allargare il foro e torniamo al punto di partenza. La
vera rivoluzione che risolve i problemi sopra elencati è la comparsa
delle lenti. L'apertura
dell'occhio si allarga in modo da far entrare abbastanza luce, ma invece
di lasciarlo aperto viene inserita una finestra che devia i raggi
luminosi di un certo angolo, la finestra sono le lenti. Le lenti viventi
non sono uniformi come quelle che costruisce l'uomo , ma sono a indice
di rifrazione graduata e si sviluppano gradualmente con la crescita
dell'animale. L'evoluzione del cristallino potrebbe essersi compiuta in
meno di 500 milioni di anni. Gli
zoologi usano il termine occhio
per designare qualsiasi tipo di fotorecettore pluricellulare e indicano
con ocello un occhio provvisto di lente, ma con scarsa capacità di
formare immagini; un animale, per vedere realmente gli oggetti, deve
avere occhi capaci di formare immagini su uno strato specializzato di
cellule fotorecettrici, la retina
. Si
sono evoluti due tipi di occhi provvisti di lenti: uno usa una lente
singola per formare immagini, come fa la macchina fotografica, mentre
l’altro, detto occhio composto,
ha molte lenti che producono un’immagine a mosaico. La
maggior parte degli artropodi, specialmente insetti e crostacei, hanno
un occhio composto, suddiviso in molteplici unità visive, gli ommatidi
, ciascuna delle quali raccoglie informazioni da
una piccola regione del campo visivo: un singolo ommatidio è
sostanzialmente un tubo, la cui estremità è provvista di lenti che
fanno convergere la luce su cellule fotorecettrici situate all’interno
del tubo; la luce che entra in ommatidi vicini differisce in intensità
e quindi l’immagine è costituita da un insieme di punti luminosi di
differente intensità, a mosaico. La percezione delle
immagini Un
messaggio visivo proveniente dall'occhio viene interpretato dal
cervello. Ogni esperienza visiva, quindi, risulta essere non una
semplice fotografia della realtà ma una sua interpretazione. La visione
non è quindi fenomeno oggettivo come si potrebbe pensare, infatti la
rielaborazione del cervello è una interpretazione soggettiva del mondo. Tutte
le informazioni provenienti dai nostri sensi vengono rielaborate dal
cervello attraverso processi che consistono in suddivisioni e successive
associazioni. Gli
studi su pazienti che hanno subito lesioni cerebrali dimostrano che la
posizione degli oggetti nello spazio viene riconosciuta e rievocata in
modo diverso dai due emisferi cerebrali. Se la lesione è avvenuta
nell'emisfero sinistro il paziente non riconosce il mondo che è alla
sua destra e viceversa. Questi
studi dimostrano che i due emisferi hanno ruoli diversi: l'emisfero
destro è competente nelle funzioni spaziali e nel riconoscimento dei
volti delle persone conosciute, quello sinistro è responsabile delle
funzioni legate al linguaggio e ai processi logici. Quando
osserviamo un oggetto, la sua immagine tridimensionale attraversa il
cristallino e viene riflessa sulla retina appiattendosi e perdendo la
sua dimensione di profondità. E' il cervello che corregge
l'immagine piatta che riceve dai due occhi grazie alla visione
binoculare che ci permette di valutare la differenza tra la visione di
un oggetto che proviene da due immagini bidimensionali leggermente
diverse, raccolte dai nostri due occhi lievemente sfasati uno rispetto
all'altro. La
presenza delle ombre, oltre alle immagini diverse inviate dai due occhi,
permette di vedere la terza dimensione. La
particolare distribuzione dei coni e dei bastoncelli sulla superficie
della retina, con l'addensarsi dei coni nella fovea, ha determinato la
necessità di un impercettibile e continuo movimento oculare, la saccade. Dal
momento che solo la fovea è in grado di analizzare i dettagli ed i
colori, il movimento oculare è diventato una necessità per ricostruire
oggetti complessi la cui immagine proiettata sulla retina occupa una
superficie maggiore della fovea. Durante
il moto le immagini scorrono sulla retina ad alta o altissima velocità
e questo dovrebbe procurare una visione continuamente mossa durante i
movimenti di trasferimento della fovea da un punto all'altro della scena
visiva. Il fatto che ciò non accada e che noi non ci accorgiamo di
questo fenomeno sta ad indicare che durante la saccade la visione viene
in qualche modo eliminata o mascherata. Il mascheramento visivo spiega
come avviene la lettura di un brano, letterario o musicale, da parte di
un lettore esperto.. Durante
la lettura di un testo stampato l'occhio resta immobile per circa il 90%
del tempo. Un fattore che indica l'avvenuto apprendimento della lettura
è la progressiva scomparsa del ritorno alla posizione iniziale che è
stata fissata all'inizio di ogni riga. Questo fattore misura quante
volte, nella lettura di una sola riga, si ritorna al punto di partenza.
Mentre un bambino di 6 anni ritorna almeno 5,1 volte ed esegue sino a 19
scatti di fissazione, un adulto esegue solo 0,7 ritorni all'origine e si
ferma solo 5 volte e anche meno. Le parole non vengono mai lette
completamente, ma vengono isolati e percepiti solo gruppi di tre o
quattro lettere, mentre il resto viene sostanzialmente indovinato. Un
adulto infatti nel leggere osserva una riga e le dedica tre brevi
movimenti saccadici La percezione dei colori Un
oggetto di un certo colore viene percepito in modo diverso a seconda
dello sfondo nel quale è inserito. Ogni colore è percepito dall'occhio
ma non com'è ma come appare in relazione ai colori vicini, perciò un
cerchietto circondato da uno sfondo più scuro risulta più chiaro. Un
colore inoltre risulta più luminoso se è circondato da un altro ad
esso complementare Il
meccanismo che accresce il contrasto ai bordi di un oggetto viene
denominato inibizione laterale, perché ogni bastoncello tende ad
inibire la risposta di quello che gli sta vicino, in questo modo ciò
che è chiaro appare più chiaro e viceversa ciò che è scuro. L'inibizione
laterale vale anche per i coni: quando i coni di una certa regione della
retina vengono stimolati, succede che quelli delle regioni vicine
diventino meno sensibili a quel colore, quindi ad esempio l’azzurro di
un quadratino su sfondo blu
sembra più chiaro, su sfondo giallo invece il colore non cambia perché
il giallo non contiene il blu. Siti Internet In
occasione del concorso internazionale ThinkQuest Internet Challenge 2000
un gruppo di ragazzi americani ha realizzato "Sighting the first
sense", un sito che affronta il tema Un
sito interessante da visitare che suggerisce esperienze da svolgere in
classe e sulle illusioni ottiche è quello dell'esploratorio di San
Francisco: http://www.exploratorium.edu/ Altri
siti interessanti in cui trovare animazioni e disegni sono: http://www.sapere.it/gr/ArticleViewServlet?tid=1116714&rid=1116714&from=Virg |