Da LABORATORI IN
RETE a SET
La rete come
sostegno alla formazione degli
insegnanti e all’apprendimento degli studenti "In times of change, learners inherit the
earth, while the learned find themselves beautifully equipped to deal with a world
that no longer exists."[1] Citazione da Eric Hoffer (sulla porta di una scuola di East Lyme,
Connecticut) Perché vi raccontiamo questa storia
In “Luce, colore,
energia” un gruppo di insegnanti-ricercatori ha rielaborato e tradotto,
per renderle più facilmente accessibili a distanza, proposte
didattiche messe a punto e sperimentate nel lungo corso del progetto “Laboratori
in rete”[2]; ma
proprio impegnandosi in questo sforzo comunicativo, essi hanno sofferto
l’impaccio della comunicazione unidirezionale, l’assenza di feed back immediati, l’impossibilità di negoziare con l’ interlocutore il
significato di una conversazione, la perdita di quel sapere aperto che si
produce nelle situazioni concrete di insegnamento-apprendimento, e di cui
sono abituati a fare grande conto. Insomma , per rendere davvero disponibile in SET, e far
fruttare nel confronto con voi che leggete, non solo le conoscenze, ma anche
la sensibilità pedagogica e le competenze didattiche maturate nello svolgersi
del progetto, sarebbe stato necessario riproporre anche l’ambiente in cui
queste proposte hanno potuto nascere e svilupparsi , cioè la comunità di
apprendimento[3] (che
in “labrete” ha coinvolto
insegnanti, studenti ed esperti interni ed esterni al progetto) e la
comunità di pratiche[4] in cui gli insegnanti hanno progressivamente affinato i loro
comportamenti e le loro routine
professionali e hanno affrontato le emergenze, confrontandosi per
trovare soluzioni da verificare poi nella pratica didattica. Tentiamo quindi di darvi
un’idea di questo contesto perché possiate valutarne il senso e magari
l’opportunità di ricrearlo, cogliendo l’occasione di SET. Gli incontri, i confronti e le
conversazioni a distanza sono stati possibili ricorrendo alla rete telematica
nella sua applicazione più semplice: la posta elettronica, indirizzata,
pubblicamente e automaticamente,
da ciascuno a tutti i membri del gruppo (mailing list ). La comunità di apprendimento
La costruzione della comunità
di apprendimento si è realizzata a partire dall’esperienza cognitiva di un
gruppo di insegnanti che hanno accettato di sperimentare in prima persona un
particolare approccio all’insegnamento delle scienze. Semplificando, potremmo descriverlo così: §
si avvia,
anziché dai libri, dalla osservazione diretta dei fenomeni e dalle domande
che ne derivano; §
si
sviluppa attraverso la costruzione collaborativa di
esperimenti pensati per
falsificare le ipotesi; §
si conclude con la ricerca delle
generalizzazioni possibili. Coerentemente con questa
impostazione, nel “laboratorio” inizialmente organizzato per loro, questi
insegnanti non hanno discusso come insegnare quello che si sa, ma come
esplorare fenomeni direttamente osservati di cui, magari, sapevano poco o
nulla. La stessa esperta, che svolgeva un ruolo orientativo, non esitava a
dichiarare le sue difficoltà su questo o quel problema e la necessità di
interpellare altri esperti, o di studiare. Questa personale esperienza di
apprendimento è stata, oltre che pratica ed esemplare, anche immediatamente
metacognitiva rispetto ai processi di apprendimento collaborativo, perché
tutti hanno potuto apprezzare il formarsi di un sapere vivo, attraverso le domande e le interazioni che
riuscivano a mettere in campo tra di loro, con l’esperta universitaria, col
materiale di manipolazione e di studio.
E’ proprio attraverso questa condivisa avventura cognitiva che il
gruppo si è riconosciuto e rassicurato, trovando la fiducia necessaria per
allargare la comunità agli studenti che vi hanno partecipato sia a titolo
individuale che come membri di un gruppo–classe. Per gli studenti partecipare
alla comunità è stato particolarmente significativo: §
sul piano
della motivazione: perché
si sono sentiti impegnati in una ricerca non fittizia che coinvolgeva seriamente
anche gli adulti, di cui hanno apprezzato sia il ruolo di esperti, sia l’esempio di persone che non
smettono di farsi domande “legittime”[5]; §
sul piano
della responsabilità:
perché hanno avvertito il senso
del proprio lavoro nel progetto e l’interdipendenza con quello degli altri.
Hanno quindi condiviso decisioni circa l’organizzazione, il rispetto dei
tempi ecc. Hanno imparato ad apprezzare il contributo di altri e a citarli se
lo utilizzavano; §
sul piano
della comunicazione: perché
hanno imparato ad ascoltare, a chiedere chiarimenti, a porre problemi ai
compagni e agli esperti, ad evitare gli impliciti, ad esprimersi con diversi
codici apprezzandone la differenza, a
sostenere con argomenti le proprie tesi ; §
sul piano
delle rappresentazioni dell’apprendimento e del sapere
(che sappiamo quanto influiscano
sulla motivazione e sulla capacità di imparare) perché hanno scoperto
e sperimentato che la conoscenza si può costruire nel confronto ( che aiuta, tra l’altro, a scovare e superare
gli errori ) e che a scuola si impara a prepararlo, a sostenerlo, a trarne
conclusioni fino a prova contraria. Che cosa
c’entra la rete?
Per ciascuno degli aspetti appena
ricordati, “essere in rete” ha giocato un ruolo visibile e non marginale: §
l’impegno
comune nella ricerca,
condizione del suo sviluppo, era infatti testimoniato in rete dal verbale
delle attività che si svolgevano
in ogni suo “nodo”; dalle
domande che esse suscitavano sia in chi le aveva svolte, sia in chi ne leggeva il resoconto; dalle
risposte date, o cercate, o contestate da studenti di classi diverse e/o
dagli esperti §
la
responsabilità, personale
e di gruppo, si esprimeva oltre che nel rispetto dei tempi, nel discutere
seriamente il lavoro degli altri (imparando, anche da qualche incidente
comunicativo, a criticare i procedimenti e i risultati, mai le persone) §
sul piano
della comunicazione la rete ha
offerto una marcia in più
alla “corrispondenza interscolastica”[6].
Sul canale telematico la conversazione può infatti svolgersi in tempo reale e
quindi infittirsi di messaggi anche minimi (molto funzionali per avanzare rilievi o chiedere chiarimenti) sciolti dalle
formalità che una lettera inviata per posta non può non prevedere. Ma qui
vorrei soprattutto dare rilievo al ruolo di decentramento e di
chiarificazione del proprio pensiero, giocato dalla scrittura in questo
contesto. Scrivere per farsi capire induce infatti ad una pianificazione
attenta del messaggio, pur nella informalità della comunicazione telematica,
e la necessità di intendersi senza vedersi insegna ad integrare il codice
verbale con altri codici (grafici e schemi ) che possono risultare meno
ambigui o più adatti a differenti stili cognitivi. §
Infine,
poiché la rete documenta automaticamente tutti gli scambi[7],
é possibile tornare a ragionare sui processi, ricostruirli e ritrovarvicisi.
L’insieme dei messaggi non restituisce, infatti, solo lo sviluppo “astratto” del progetto, ma anche le
emozioni e gli umori degli individui e dei gruppi che vi hanno preso parte: la
soddisfazione della scoperta, l’incertezza su come procedere, il piacere di
lavorare all’aperto, la curiosità, ma anche la fatica di raccogliere dati
secondo modalità concordate o di dover
stendere il verbale per
spedirlo. La rete per gli insegnanti
§
Un atteggiamento
“aperto”
Come avrete
capito “Laboratori in rete” è stato per gli insegnanti che vi hanno
partecipato un laboratorio di formazione, nel senso che hanno lavorato al
proprio cambiamento, affrontando le ansie, il rischio e la fatica che il cambiamento
comporta, in particolare per gli adulti. La rete è stata uno strumento decisivo per
realizzare questo percorso, non solo perché offre sostegno a chi vi
partecipa, ma anche - e proprio perché - pone loro precise richieste: in un
ambiente collaborativo, infatti, ciascuno è confortato dal confronto assiduo
con i colleghi impegnati nella stessa impresa, e può essere rassicurato (come
nel nostro caso) dalla presenza di esperti, accademici e non, che
garantiscono sia la correttezza nella scelta dei contenuti e dei procedimenti
che la fattibilità delle proposte; ma questo sostegno è fruibile solo se
ciascuno si espone, dice quello che fa, che non sa, che sbaglia, considerando
utile per il gruppo il racconto delle proprie difficoltà e davvero necessario
e prezioso l’intervento critico degli altri. Assumere questo atteggiamento aperto potrebbe essere un
obiettivo di formazione per insegnanti di qualsiasi disciplina, ma sembra
addirittura una condizione necessaria per fare, a scuola, “educazione
scientifica”, mettendo gli allievi in condizione di sperimentare direttamente fatiche e vantaggi che il
carattere aperto della ricerca comporta. La rete è il “naturale” supporto di una
esperienza di questo tipo, perché offre peculiari opportunità di confronto,
sganciate dalla necessità di incontrarsi, e mediate dalla scrittura, che, a
sua volta, inclina alla riflessione, pur nella libertà di registro che, come
abbiamo già detto, caratterizza la comunicazione telematica. §
Rete per
la ricerca/azione In particolare si può dire che la rete
asseconda in modo puntuale il dispositivo della ricerca-azione (sviluppo
del gruppo, ricerca, intervento,valutazione) e la ripresa ricorsiva del ciclo quando la valutazione
del cambiamento ottenuto, o non ottenuto, apre ad una ulteriore
problematizzazione . E’ infatti a questi snodi metodologici che ci si
potrebbe puntualmente riferire per leggere la messaggistica circolata tra gli
insegnanti che hanno partecipato
al progetto e di cui trovate traccia nel suo sito[8]. Per quanto riguarda per esempio lo sviluppo
del gruppo, oltre a notare l’infittirsi delle interazioni dopo gli inizi
pigri, è possibile apprezzare il loro cambiamento qualitativo. Se
consideriamo, per esempio, il rapporto tra insegnanti “novizi” ed insegnanti
più esperti, vediamo che la relazione iniziale di incoraggiamento e di aiuto
in una sola direzione, si trasforma mano a mano che tutti riconoscono
l’importanza, già sottolineata, di dare voce a difficoltà, errori e timori.
Dallo scambio di e-mail si può rilevare, infatti, che la ricerca, individuale
e del gruppo, si rinnova e si arricchisce di ipotesi e spunti proprio
cimentandosi con i fallimenti, piuttosto che con i successi (ad esempio sulla
tematica delle prove di valutazione), e che in entrambi i casi la riflessione
sulle variabili che possono averli determinati, guida i successivi interventi
per modificare il contesto operativo. §
Scrittura
come strumento di ricerca Altre osservazioni sulla comunicazione
in rete e sul suo ruolo nello
sviluppo della ricerca potrebbero riferirsi ai due tipi di scrittura
previsti dal progetto : quella spontanea e quella concordata. La prima ha consentito ai soggetti della
ricerca di contribuirvi anche attraverso l’espressione del loro
coinvolgimento emotivo ed esistenziale. [9] La seconda è consistita nella stesura periodica da parte
degli insegnanti dei verbali delle azioni sviluppate in classe, confrontabili
in rete con analoghi verbali
degli studenti. E’ stata una pratica impegnativa, da principio e da qualcuno
vissuta come burocratica, ma che via via si é rivelata cruciale per
l’arricchimento della progettualità di tutti, perché tutti hanno potuto
tenere sotto controllo lo sviluppo complessivo del progetto, potendo
conoscerne sia le differenti condizioni di realizzazione, sia
le conseguenti, diverse, rappresentazioni e valutazioni di insegnanti e studenti. Tutto ciò ha innescato processi
metacognitivi, e incoraggiato la pluralità dei punti di vista nell’analisi di
interazioni numerose e complesse. La documentazione (non ultimo tra i “valori
aggiunti” della rete) prova infatti che ciascuno ha potuto intrecciare trame
più articolate di consapevolezza, raccogliendo il filo della riflessione
dell’altro , tanto che nelle loro considerazioni conclusive, gli insegnanti-ricercatori
lamentano come una perdita il fatto di non essere stati abbastanza critici
gli uni verso gli altri, cioè di non aver preso esempio dai
ricercatori-studenti che hanno sfruttato più a fondo e puntualmente questa
opportunità offerta dalla comunità e dalla rete.[10] Vale infine la pena di notare, parlando di
rapporti mantenuti quasi esclusivamente a distanza, che questi scritti hanno
anche assolto ad una funzione pratica, contribuendo a rinforzare la scansione
del progetto nei suoi momenti più significativi, con effetti utili di orientamento ( a che punto
siamo, che cosa stiamo facendo, su che cosa interpello le mie letture, gli
esperti, i colleghi). §
La
mediazione del linguaggio Mi sembra infine necessario, rivolgendomi a
chi riprenderà in classe le loro proposte didattiche, sottolineare la
sensibilità che questi insegnanti hanno sviluppato nei confronti del
linguaggio come strumento cognitivo,
non solo abituandosi ad usarlo tra di loro in modo, per così dire,
“dedicato”, ma soprattutto
riflettendo sui suoi effetti nell’interazione con gli studenti. Dallo scambio delle loro opinioni in rete,
risulta che essi si sono
interrogati sulle strategie comunicative adatte a far emergere il sapere di
senso comune di cui gli studenti sono portatori, accorgendosi che le parole
scambiate in classe giocano, fin dalle prime battute, a favore o contro la
possibilità di aprire “zone di sviluppo”[11]
per l’apprendimento. Si sono quindi esercitati nel sorvegliare, prima
di tutto, il proprio discorso, cercando coerenza tra intenzioni, parole,
durata e collocazione, per lasciare spazio e parola anche agli studenti. Hanno raccolto domande e risposte provvisorie, anziché anticipare
spiegazioni o risposte definitive che avrebbero smorzato la curiosità e la
tensione. Nella fase della osservazione o della
raccolta dei dati percettivi hanno saputo apprezzare la freschezza o la
originalità del linguaggio degli studenti, guidandoli ad affinarlo rispetto a
scopi particolari, ma senza sacrificarlo. Hanno, anzi, sfruttato la
situazione e l’evidenza per far apprezzare concretamente la peculiarità dei
contributi che linguaggi e codici diversi, come colori o suoni, possono dare
alla costruzione della conoscenza, anziché fissarsi immediatamente e soltanto
sulla precisione ed univocità dei termini. Ci saranno altre occasioni
per costruire questa competenza, quando risulterà necessaria per intendersi a
distanza : allora si potrà utilizzare lo scambio dei verbali relativi alle
procedure seguite da ogni gruppo, perché ciascuno possa apprezzare
l’importanza effettivamente strategica di questo obiettivo nella educazione
scientifica. Intanto la legittimazione e l’uso di
altri linguaggi ha arricchito le interazioni con l’efficacia del “mostrare”,
preparando il terreno e fornendo semilavorati per la progettazione e la
realizzazione del prodotto finale, cioè di una comunicazione multimediale
rivolta all’esterno che ha rinforzato la motivazione e il senso di identità
di tutto il gruppo.[12] In sostanza , per fare educazione
scientifica, in “Laboratori in rete”
ci si è abituati ad ascoltare, parlare, leggere e scrivere con
modalità e per scopi diversi come chiedere, descrivere, argomentare per farsi
capire e capire, discutendo con interlocutori reali, per risolvere problemi
veri, di cui nessuno ha la soluzione in tasca. Mi pare quindi di poter concludere che tra
le “interdisciplinarità” che in SET e in queste unità di lavoro siete
invitati a considerare e riprendere, quella con l’educazione linguistica è
forse la meno esplorata, ma certo non la più marginale , se consideriamo lo
stretto rapporto tra pensiero e linguaggio, apprendimento e pratiche
discorsive. |
[1] “In tempi di cambiamento coloro che continuano a imparare ereditano la terra, mentre coloro che si considerano ormai istruiti si trovano meravigliosamente equipaggiati per affrontare un mondo che non esiste più”. La traduzione non rende la contrapposizione tra learners e learned, tra earth (con le sue suggestioni bibliche ) e world….
[2] “Laboratori in rete” è un progetto pluriennale realizzato in collaborazione tra Università e IRRSAE Lombardia per rinnovare il curricolo di educazione scientifica nella scuola di base, attraverso l’aggiornamento e la formazione di insegnanti – ricercatori. Il titolo allude al collegamento tra insegnanti, studenti, scuole ,Università e IRRSAE per lo sviluppo collaborativo del progetto, sostenuto da una rete telematica.
[3]
La psicologia sociale sostiene che “ l’apprendimento e lo sviluppo
cognitivo sono essenzialmente una questione di assorbimento appropriato di
cultura pratica mediante una partecipazione sostenuta (scaffolded) ad attività
socialmente rilevanti” ( L.
Resnick e N. Le Gall, citati in Manuale di psicologia dell’educazione a
cura di C. Pontecorvo , Il Mulino, BO, 1999, pag.292)
La comunità di apprendimento è una organizzazione del lavoro scolastico che, richiamandosi a questi assunti, dà importanza alla collaborazione tra tutti coloro che, a qualsiasi titolo, partecipano alla ricerca (studenti,insegnanti ed esperti), nonché agli strumenti che essi utilizzano e che funzionano come partner per l’apprendimento. Gli studenti sono considerati apprendisti e gli insegnanti mettono in gioco, piuttosto che il loro sapere, l’esempio di come fanno a costruirlo.
[4] “Spesso la scuola è fatta soprattutto di norme implicite, conoscenze nascoste, progetti ‘sottotraccia’: quello che manca è soprattutto la esplicitazione , la comunicazione e la messa in comune delle competenze e delle innovazioni prodotte dai singoli, cioé dell’innovazione già presente, ma di cui l’organizzazione è spesso inconsapevole.” “ E’ solo attraverso la costruzione di un patrimonio di conoscenze e competenze comuni alla comunità di pratiche degli operatori scolastici che possono nascere progetti di innovazione organizzativa ed educativa”. C. Zucchermaglio in “Manuale di psicologia dell’educazione” op. cit. p. 333
[5] “Definirò ‘domanda legittima’ quella domanda di cui non si conosca già la risposta. Non sarebbe affascinante immaginare un sistema di istruzione che chieda agli studenti di rispondere solo a ‘domande legittime’, cioè a domande le cui risposte sono ignote?” (H. von Foerster, Sistemi che osservano, a cura di M Ceruti e U. Telfner, Astrolabio, Roma, 1987,p.130)
[6] La “corrispondenza interscolastica” centrata su un comune interesse di ricerca, è stata indicata da C. Freinet come una tecnica efficace per motivare a scrivere e ad imparare gli uni dagli altri.
[7] la documentazione dei messaggi scambiati è una delle opportunità più significative offerte dalla rete. Per esempio, nel nostro caso, oltre ad aver favorito la riflessione dei partecipanti , ha offerto ad esperti esterni materiale per lo studio e la critica dei processi e delle pratiche, nel corso dei seminari di valutazione del progetto.
[9] “La ricerca-azione porta l’attenzione sui soggetti, attori della ricerca, che non devono essere distaccati, estranei all’oggetto, ma vengono inglobati nella ricerca stessa con tutto il bagaglio di vissuti, intuizioni, insoddisfazioni, slanci ecc.” Vanna Iori in Eloisa o la passione della conoscenza, F. Angeli, 1994, p. 22
[10] Il ruolo di amico critico, svolto da ciascuno per tutti gli altri nel corso della ricerca, è stato riproposto, nella fase di trasformazione delle unità didattiche per renderle accessibili in SET, nella figura del "revisore" che, come potete notare nelle presentazioni, ha affiancato gli autori nel definire i per corsi e l'organizzazione dei materiali che vi vengono proposti.
[11] Zona di sviluppo prossimo è definita da Vigotski quell’area contigua a ciò che un soggetto sa fare da solo, misurata in modo da considerare anche quello che può fare con l’aiuto di altri più competente (un adulto, un compagno, certi strumenti)
[12] Cfr. nel sito del progetto i cartelloni per la mostra realizzata sia in IRRE che in ciascuna scuola