Progetto SeCiF - LUCE E VISIONE - M. Gagliardi, E. Giordano

La rete concettuale alla base della proposta
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“Vedere” è un processo estremamente complesso che avviene in modo “automatico” o meglio in modo controllato inconsapevolmente: sappiamo fare molto più di quanto ancora oggi non sappiamo

Il passaggio dalla conoscenza comune alla conoscenza scientifica in questo ambito fenomenologico richiede di affrontare alcuni snodi concettuali che nel loro insieme possono caratterizzare una formazione scientifica che abbia valore autenticamente culturale. In un percorso di apprendimento longitudinale potranno essere affrontati più volte, a livelli via via più avanzati, e con una costruzione progressiva delle reciproche relazioni. Nel seguito sono sottolineati gli aspetti su cui riteniamo che sia possibile lavorare a scuola e che costituiscono a nostro parere i punti qualificanti della nostra proposta dal punto di vista disciplinare.

 

3.1 Il modello-base della visione e la corrispondenza oggetti-immagini visive.

Condizione necessaria del vedere è che negli occhi entri luce proveniente dall'oggetto della visione. Questa concezione è fondata su alcune schematizzazioni tutt’altro che intuitive: i concetti di sorgente primaria e sorgente secondaria; la considerazione dell’occhio come recettore passivo; lo schema sorgente-oggetto-occhio che vede la luce come ente mediatore fra i tre elementi.

Per costruire una spiegazione della corrispondenza quotidianamente sperimentata fra gli oggetti che riempiono lo spazio fisico in cui siamo immersi e le immagini visive che ne abbiamo, è necessario individuare le regole che mettono in relazione le caratteristiche fisiche e geometriche della luce corrispondenti ai diversi aspetti psichici delle immagini visive degli oggetti (forme, dimensioni, colori, collocazione spaziale …) con le caratteristiche del sistema percettivo (occhio, sistema nervoso) che consentono di distinguere e correlare tali aspetti. Alla fisica spetta il compito di indagare le caratteristiche della luce e di descriverne/spiegarne il processo di propagazione all’interno dell’occhio. Il resto è di pertinenza della biologia, delle neuroscienze e della psicologia della percezione.

 

3.2 Il contributo della fisica

3.2.1 Le relazioni fra oggetto, luce, occhio.

Si immagina qualsiasi oggetto come fatto di infiniti punti (sorgenti puntiformi), ciascuno dei quali emette nello spazio circostante fascetti divergenti di luce fra loro contigui. Analogamente si immagina la retina come formata da infiniti punti-recettori. Da ogni punto-sorgente può entrare nell’occhio un fascetto di luce delimitato dalla pupilla. Grazie alla struttura interna dell’occhio (in particolare al cristallino), ogni fascetto viene fatto convergere su uno specifico punto della retina. Questo modello permette, attraverso un’operazione non intuitiva di discretizzazione del continuo, di stabilire una corrispondenza ideale punto a punto fra lo spazio visivo e la struttura dei recettori. La geometria complessiva dei fascetti e le caratteristiche fisiche della luce di cui sono formati costituiscono il supporto fisico di ogni immagine visiva.

 

3.2.2 La luce e lo spazio.

Il modello base per lo studio della distribuzione e propagazione della luce nello spazio considera una sorgente puntiforme all’interno di un mezzo omogeneo o dello spazio vuoto.

Gli aspetti geometrici di questa situazione possono essere schematizzati attraverso il modello di raggio, che non deve essere confuso con un modello sulla natura della luce e che non può essere compreso appieno senza un’effettiva esplorazione dell’intensità di illuminazione nello spazio tridimensionale intorno ad una sorgente di luce. Attraverso l’uso di oggetti opportuni (tubi di varie dimensioni, sagome opache compatte o fornite di apposite aperture), di schermi su cui raccogliere “macchie di luce” e “macchie di ombra”, di sospensioni diffondenti è possibile ricostruire le forme tridimensionali di “spazi di luce” e “spazi d’ombra”. Sono queste forme che danno ragione dell’uso del modello di raggio per la propagazione e permettono di integrare tale modello con l’aspetto di continuità della distribuzione della luce nello spazio, interpretando il raggio come limite o asse centrale dei fascetti contigui di cui ogni fascio di luce può considerarsi composto. Si ha anche in questo caso a che fare con operazioni di discretizzazione del continuo.

Oltre agli aspetti geometrici, si devono considerare gli aspetti più propriamente fisici della propagazione e distribuzione della luce nello spazio. Da questo punto di vista, nello spazio vuoto vale una legge di conservazione dell’energia luminosa che si propaga, mentre all’interno di un mezzo materiale si hanno fenomeni di trasformazione dell’energia luminosa in altre forme di energia, cioè si ha assorbimento della luce. All’interno di un fascetto divergente di luce si ha di conseguenza sempre una diminuzione dell’intensità di illuminazione all’aumentare della sezione del fascio, cui si può aggiungere un’ulteriore diminuzione per assorbimento. La comprensione di questi aspetti richiede di saper riconoscere e porre in relazione grandezze che sono intensive dal punto di vista temporale mentre dal punto di vista spaziale sono in parte estensive ed in parte intensive.

 

3.2.3 La visione indiretta.

Ci sono situazioni in cui gli oggetti ci appaiono con forme, dimensioni, posizioni diverse da quelle che hanno in realtà. Coerentemente con il modello base della visione, l’alterazione delle caratteristiche geometriche delle immagini visive di questi oggetti deve essere dovuta ad un’alterazione della geometria dell’insieme dei fascetti luminosi che partono dai diversi punti di ciascun oggetto e arrivano agli occhi dell’osservatore.

Spiegare quello che si vede guardando verso uno specchio o una distesa d’acqua oppure attraverso una lente di ingrandimento e così via implica di conseguenza sia lo studio di cosa avviene alla luce quando nella sua propagazione incontra un nuovo mezzo materiale (riflessione/diffusione e rifrazione), sia la ricostruzione di cosa vede l’occhio, attraverso lo studio delle deformazioni dei conetti elementari. Si tratta di saper gestire e porre in relazione, utilizzando il modello di raggio, descrizioni discretizzate della continuità degli “spazi visivi” e degli “spazi di luce”.

 

3.2.4 Luce e colori.

I colori non “appartengono” né alla luce, né agli oggetti, sono un fenomeno puramente percettivo legato all’interpretazione che la mente dà della composizione spettrale dei conetti di luce che entrano nei nostri occhi, a sua volta determinata sia dalla sorgente primaria da cui proviene la luce, sia dai mezzi materiali che attraversa e dalle superfici da cui viene riflessa o diffusa. La luce emessa da ogni sorgente  primaria è infatti formata da una sovrapposizione di componenti tipiche della sorgente stessa (spettro della sorgente). Nel corso della propagazione ogni componente viene assorbita, riflessa, diffusa in una percentuale diversa, determinata dalla natura dei mezzi materiali e delle superfici incontrate. Anche la deviazione per rifrazione è diversa per componenti diverse. I “colori degli oggetti” sono determinati dalle componenti presenti nella luce che arriva all’occhio e dalla loro intensità relativa. Per comodità si usa riferirsi alle diverse componenti della radiazione luminosa  parlando di “colori della luce” e intendendo per radiazione di un dato colore quella componente che, percepita isolatamente, provoca la sensazione del colore corrispondente. I singoli “colori della luce” sono molti di meno dei “colori degli oggetti” e corrispondono essenzialmente alle sfumature tra il rosso ed il violetto che è possibile percepire nell’arcobaleno, fenomeno di dispersione che produce la separazione spaziale delle componenti della luce emessa dal sole (spettro solare). Si dà invece il nome di “luce bianca” alla luce che si ottiene dalla sovrapposizione di componenti di tutti i colori con una distribuzione delle intensità relative uguale o prossima a quella della luce solare. La comprensione degli aspetti fisici del fenomeno del colore richiede l’uso di una logica di tipo operatoriale per l’analisi dell’interazione luce-materia e di operazioni di scomposizione e ricomposizione per l’analisi delle caratteristiche della luce e delle operazioni percettive di sintesi additiva e sottrattiva.

 

3.2.5 La natura della luce.

Non è necessario fare ipotesi sulla natura della luce per dare ragione dei fenomeni relativi alla visione. D’altra parte da un lato è spontaneo cercare di immaginarsi la luce e dall’altro è importante non pensare che sia davvero “fatta di raggi”. Non si può negare ai bambini, né agli insegnanti, un supporto immaginativo che soddisfi queste esigenze. Pensiamo che questo problema possa essere affrontato attraverso la costruzione in termini essenzialmente figurativi di due modelli: uno che immagina la luce emessa dalla sorgente come un insieme di particelle velocissime che si susseguono in tutte le direzioni, l’altro che la immagina come onde sferiche che si allargano nello spazio tridimensionale in modo analogo alle onde superficiali in uno specchio d’acqua. E’ ovviamente essenziale reinterpretare nell’ambito di entrambi i modelli il modello di raggio. Il gioco a tre che viene a determinarsi è molto importante sia cognitivamente, per i diversi modi in cui implica la relazione discreto/continuo, sia epistemologicamente, come esempio emblematico del gioco fra i vincoli imposti dalla realtà fattuale e la libertà di immaginazione che caratterizzano la costruzione della scienza, ed in particolare della fisica. Da quest’ultimo punto di vista è anche opportuno riferirsi al dibattito storico sulla natura della luce, purché ci si renda conto che non è dando al primo modello il nome di “fotoni” ed al secondo quello di “onde elettromagnetiche” che si può costruire una effettiva comprensione della natura della luce come è intesa nei termini della fisica contemporanea. Si deve riconoscere la natura puramente figurativa delle due immagini, sottolineando nel contempo la complessità delle teorie attuali, che esclude a livello di scuola di base e di formazione di insegnanti della scuola elementare un’informazione che non sia a livello semplicemente divulgativo.

 

3.2.6 L’occhio come rivelatore dei segnali luminosi.

La schematizzazione base dell’occhio è quella di un sistema ottico che consente la corrispondenza uno ad uno fra i punti di uno spazio-oggetti esterno ed i punti di una superficie sensibile agli stimoli luminosi (retina). Oltre alla retina, gli elementi fondamentali del sistema sono il diaframma che limita l’apertura dei fascetti luminosi in ingresso (pupilla) e la lente convergente a curvatura variabile che fa riconvergere ciascun fascetto in un punto della retina (cristallino). Questa schematizzazione dà ragione soltanto di caratteristiche puramente “geometriche” del mondo delle immagini visive (e non di tutte: la valutazione delle distanze richiede almeno la considerazione del sistema formato dai due occhi). Un’ulteriore schematizzazione vede la retina come composta di sensori (coni e bastoncelli) che rispondono a caratteristiche specifiche non direzionali della luce che li colpisce (composizione spettrale ed intensità). L’occhio reale presenta inoltre, come ogni strumento di rivelazione, limiti di vario genere (valori di soglia e di saturazione, limiti di risoluzione spaziale …) ed è caratterizzato da automatismi di regolazione. Un uso proficuo e corretto delle analogie con altri sistemi ottici (camera oscura, macchina fotografica, luxmetri, radiometri …) richiede una chiara esplicitazione di quali siano gli elementi che accomunano e quali gli elementi che differenziano fra loro i diversi sistemi considerati.

 

3.3 Il contributo della biologia, delle neuroscienze e della psicologia

3.3.1 Le basi biologiche della percezione visiva.

Tutte le cellule della retina vengono stimolate contemporaneamente dalla luce che entra nell’occhio dall’esterno, proveniente da punti di quelli che vediamo come singoli oggetti ben definiti e da punti di quello che vediamo come “sfondo” su cui gli oggetti stessi si stagliano. Gli stimoli che arrivano ai singoli recettori della retina cambiano ogniqualvolta cambia la luce proveniente dai corrispondenti punti esterni (perché gli oggetti si muovono, perché cambia l’illuminazione, perché noi ci muoviamo, o quantomeno “giriamo gli occhi” da un’altra parte e così via …). Come è possibile, di fronte ad una situazione tanto variabile e complessa, che si sappiano distinguere, riconoscere oggetti, sfondi, movimenti ….?

 

La  biologia morfologia e funzione studia i costituenti fondamentali dell’occhio (dalla pupilla alla retina), le peculiarità della visione binoculare, le caratteristiche e i principi di funzionamento dei recettori (coni e bastoncelli) e della trasmissione di segnali attraverso il nervo ottico.

 

Le neuroscienze studiano le basi neurobiologiche degli aspetti percettivi e cioè il processo di elaborazione dei segnali luminosi che avviene nel cervello. Si sono individuate zone del cervello specializzate nell’elaborazione di particolari segnali. L’elemento più importante, ad un primo livello di schematizzazione di tale processo, è il fatto che ai fini della visione non sono importanti tanto i segnali singoli raccolti da ciascun recettore, quanto il confronto tra i segnali inviati da recettori vicini. Per esempio per il riconoscimento di un oggetto dallo sfondo sono importanti l’identità o differenza di composizione spettrale, l’identità o differenza di intensità luminosa, la variazione o meno dei segnali che arrivano su recettori contigui parte dei quali raccolgono luce che arriva dall’oggetto, mentre gli altri raccolgono luce che arriva da ciò che lo circonda. Anche le esperienze di diversa percezione di uno stesso colore a seconda dello sfondo su cui viene osservato, il confronto tra grigi, le varie “illusioni” ottiche richiedono che si tenga conto del processo cerebrale di elaborazione dei segnali. Conseguenza di questa situazione è la totale inadeguatezza dell’interpretazione della visione come un processo di semplice ”presa d’atto” e “ribaltamento” da parte del cervello di un’”immagine rovesciata” del mondo che si viene a formare in corrispondenza della retina.

 

3.3.2 La costruzione delle immagini visive.

I segnali  raccolti dai vari recettori ed elaborati dalle parti superiori del sistema nervoso vengono interpretati, ci “creiamo” il mondo che “vediamo”. La psicologia studia a livello fenomenologico le caratteristiche della percezione visiva (come diamo significato a una figura a seconda dello sfondo, come tendiamo a congiungere parti disgiunte riconoscendovi figure note, ….), individuando nel mondo esterno i diversi fattori responsabili di tali caratteristiche ed il ruolo che essi hanno sia isolatamente sia in combinazione fra loro. Uno strumento particolarmente utile di indagine consiste nella creazione e nell’interpretazione di illusioni ottiche di vario genere.

 

3.3.3 Il contributo dell’arte e della letteratura.

La lingua, la letteratura, l’arte hanno nelle diverse epoche cercato gli strumenti per rappresentare e descrivere sia i fatti dell’esperienza quotidiana rispetto al vedere, alla luce, alle ombre, al buio, sia le emozioni, le sensazioni, i sentimenti che si provocano in queste situazioni.

Nella lingua e nella letteratura possiamo trovare i termini, le espressioni, per parlare della luce e soprattutto le metafore che usano la luce per esprimere molti degli eventi della nostra vita (venire alla luce; vivere nell’ombra di qualcuno; un carattere ombroso; un avvenire luminoso;….).

Nelle opere dell’arte pittorica troviamo i risultati dello studio fatto dagli artisti del ruolo delle ombre, della prospettiva, del colore e in generale delle caratteristiche della rappresentazione grafica, di eventi cose e persone.

Gli artisti usano le loro conoscenze relative alla percezione visiva, alla luce, alla geometria, alle proprietà dei materiali per creare una rappresentazione delle caratteristiche fisiche, che trasmetta informazioni e nello stesso tempo evochi sentimenti, emozioni, valori.