Il percorso didattico inizia (I° incontro) con la
presentazione agli allievi del tema che si intende affrontare nel
corso di tutti gli incontri e del metodo di lavoro che si intende
seguire.
I bambini si rivelano entusiasti di fronte alla proposta di
iniziare un percorso di “ricerca” su un tema della fisica con
modalità di lavoro diverse da quelle cui sono abituati. Il fatto che
verrà richiesta la loro partecipazione attiva sia nelle discussioni
sia nelle attività crea aspettativa e curiosità, componenti
necessarie affinché possano partire con una buona motivazione.
Alle domande di partenza da me proposte (“Come
si fa a vedere le cose?”; “Perché vediamo le cose?”; “A cosa
serve la luce?”; “Cos’è il buio?”), fa seguito una
discussione cui partecipano tutti i bambini esplicitando le loro idee
e conoscenze sulla luce. In particolare vengono presi in
considerazione tre fenomeni: la visione, la produzione di luce, il
buio. Sui primi due i bambini hanno sin dall’inizio idee convergenti
(“per vedere serve la luce,
gli occhi, la vista”, “non solo con la lampadina, vediamo anche
con la luce della finestra o con la lampada al neon, il fuoco, ...”):
la presenza di luce, legata alla presenza di sorgenti luminose, è
necessaria, insieme agli occhi, alla “vista”, per poter vedere. Il
buio pone più problemi: la maggioranza dei bambini lo associano alla
notte ed al colore nero (“La
notte è buia”, “E’ il nero perché non ci vedi niente”)
senza peraltro riuscire a darne una descrizione o interpretazione
diretta. Quando un bambino, aiutandosi con disegni alla lavagna, tenta
di rispondere ad una mia domanda sui motivi per i quali il Sole può
illuminare solo parte della superficie terrestre, si innesca una
discussione sulla notte e sull’illuminazione lunare che si riduce
rapidamente ad uno scontro con altri due bambini che hanno idee
diverse, nel crescente disinteresse del resto della classe. La lezione
termina senza giungere ad alcuna conclusione, anche per le difficoltà
che i tre bambini incontrano nella rappresentazione grafica del
sistema Terra, Sole, Luna.
Al fine di riportare l’interesse degli alunni verso
l’argomento da trattare, nell’incontro successivo pongo agli
allievi alcune domande generali sulle ombre (“Avete
mai visto un’ombra? Quando?”, “Chi fa l’ombra?”, “Perché
vediamo le ombre?”). Alle domande i bambini
rispondono facendo riferimento a situazioni ed esperienze della
loro vita quotidiana (“Quando
cammini c’è la tua ombra per terra o sul muro”, “Il lampione di
notte fa vedere l’ombra, e anche il Sole”, “Se si accende una
lampadina al buio, si vede l’ombra”, “L’ombra si vede sul
soffitto quando c’è un lampadario”,...). Ciò che emerge
dalle loro risposte è che i bambini si limitano a riferire due sole
caratteristiche del fenomeno considerato, indipendentemente l’una
dall’altra: le ombre si formano in presenza di una sorgente di luce
e si possono vedere su varie superfici. Solo un’allieva, osservando
in classe l’ombra del piede di un suo compagno, mette in relazione
le posizioni reciproche di sorgente, oggetto, ombra (“Perché
siamo più o meno sotto la lampadina”).
A questo punto, approfittando della giornata molto
soleggiata, ho giudicato opportuno invitare i bambini a compiere
osservazioni dirette sulle ombre, in modo libero, all’esterno della
scuola. Sorprendendosi per il tipo di proposta, gli allievi si sono
divertiti a “giocare” con le ombre; le hanno “pestate”,
“rincorse”, hanno creato effetti di sovrapposizione, le hanno
fatte “salire per le scale” e “arrampicare sui muri”,
compiendo una serie di osservazioni. Durante questa attività gli
allievi sono stati più volte invitati a ricomporre il gruppo classe
per discutere insieme osservazioni particolarmente interessanti. Le
discussioni hanno permesso un primo confronto di idee diverse e
favorito a volte una reinterpretazione di osservazioni precedenti
alla luce di nuove osservazioni.
Inizialmente, nella maggior parte degli allievi emerge una
visione “animistica” dell’ombra (“Le
ombre fanno tutto quello che facciamo noi”, “Ho visto l’ombra
che mi seguiva, andava lontano e diventava più piccola”, “Ogni
cosa ha la sua ombra”, “L’ombra è appiccicata ai piedi”,...).
Solo quattro bambini danno anche una descrizione/spiegazione che
evidenzia un modo di guardare più connotato scientificamente, perché
orientato a cercare relazioni fra ombra/Sole/oggetto (“Se
il sole sta da quella parte, l’ombra viene da questa”,
“L’ombra dipende dal Sole”,...). Una bambina, dopo aver
ascoltato la spiegazione dei compagni che mettono in relazione
l’ombra con la posizione del Sole, reinterpreta le
osservazioni precedenti
che si riferivano al fatto di seguire ed essere seguiti dalla
propria ombra: tenuto conto del fatto che se il Sole è da una parte
l’ombra si forma dall’altra rispetto a noi, l’ombra sembra
seguirci se siamo rivolti verso il Sole mentre sembra che la seguiamo
se volgiamo le spalle al Sole.
Un altro bambino, che ha ascoltato con attenzione e elabora
ulteriormente le proprie idee, spiega al gruppo di compagni
contemporaneamente la forma e la formazione dell’ombra mettendo in
evidenza il fatto che la luce del Sole non può attraversare le
persone e mettendo in relazione il contorno della propria persona con
il contorno della figura d’ombra, attraverso una sorta di
immaginario ribaltamento (o proiezione) della sua figura sul terreno (“L’ombra
è come se fosse attaccata e poi cadesse giù. Noi siamo contro il
Sole, se no non verrebbe l’ombra, perché è merito della luce se
c’è l’ombra, perché noi gli siamo davanti e copriamo una parte
di terreno e il Sole non riesce ad illuminarla”). E’
probabilmente grazie a questa osservazione che, quando i bambini
riprendono ad osservare le ombre, alcuni si soffermano a cercare di
capire qual è la causa che provoca la grande ombra dentro la quale
“scompare” la loro, arrivando ad identificarla nel cornicione
della scuola, che impedisce alla luce del Sole di arrivare (“L’ombra...se
qui fosse illuminato si vedrebbe l’ombra, invece così non si vede
perché col tetto che c’è lì sopra, il Sole non riesce ad
illuminare qua”).
Tornati in classe, cerco di sollecitare nei
bambini una riflessione globale sull’esperienza all’esterno,
chiedendo loro che cos’è un’ombra. I bambini, guidati soprattutto
dalla visione animistica che concentra la loro attenzione sulla
caratteristica dell’ombra di “riprodurre” in qualche modo la
propria persona, mostrano di confondere l’ombra con l’immagine
riflessa (“L’ombra è la
stessa cosa uguale alla nostra che però non siamo noi, se c’è uno
specchio sta riflessa di fronte, se non c’è lo specchio si forma
per terra, anche l’ombra è un riflesso, però con lo specchio se ho
una maglietta bianca la vedo, l’ombra invece è nera”). Data
l’importanza di distinguere i due fenomeni, ho fornito gli allievi
di specchi ed ho chiesto loro di confrontare le proprie immagini
riflesse con le proprie ombre. I bambini hanno fatto a gara per
individuare le caratteristiche che differenziano le ombre dalle
immagini riflesse. Oltre a notare che in un’immagine riflessa si
possono distinguere tutti i particolari relativi alla forma degli
oggetti, al loro colore, alle loro dimensioni (“Quello che vedo nello specchio è molto definito perché si vedono i
particolari”), mentre nell’ombra si vede solo una forma piatta
ed uniforme, i bambini notano anche che, sovrapponendo un oggetto
all’altro, nell’immagine riflessa si può distinguere l’oggetto
che sta davanti da quello che sta dietro, nell’ombra invece questo
non è possibile (“Il finto
pugno non si vede nell’ombra”). I bambini notano inoltre che
l’immagine riflessa può essere fatta ruotare restando fermi e
ruotando lo specchio, mentre nell’ombra sul muro o sull’asfalto si
può notare una rotazione solo se la persona ruota effettivamente e
soprattutto quando è di profilo.