V tappa
Precedente ] Su ] Successiva ]

 

 

A questo punto del percorso ho ritenuto che i bambini fossero arrivati ad una maturità sufficiente per avviarli ad una costruzione del modello “a raggi” che fosse per loro significativa. In effetti avevano ormai notato tutta una serie di caratteristiche del comportamento delle figure d’ombra e dello spazio d’ombra che avrebbero potuto essere interpretate attraverso il modello a raggi; erano in grado di interagire costruttivamente confrontando le proprie idee fra di loro e con le osservazioni sperimentali avevano inoltre appreso come operare con una certa sistematicità. La nuova fase di lavoro è stata avviata proponendo una situazione adatta a sintetizzare gli aspetti da interpretare e a prendere familiarità con l’apparato sperimentale che prevedevo di utilizzare.

Ho presentato ai bambini la sagoma di una casetta ritagliata da un cartoncino (che aveva la caratteristica di consentire un immediato riconoscimento dei lati corrispondenti della sagoma stessa e della sua ombra), una lampadina, dei sostegni che potevano sorreggere l’una e l’altra e una parete della stanza ricoperta da una serie di fogli di carta bianchi. Ho chiesto cosa si sarebbe dovuto fare per riprendere lo studio delle ombre. I bambini hanno fatto proposte ed eseguito una serie di prove con molto impegno e notevole sistematicità.

Dapprima la lampadina e la sagoma della casetta vengono fissate sui sostegni e disposte in modo che la casetta si trovi tra la lampadina e la parete. La lampadina viene centrata sul lato di base della casetta, che è disposta parallelamente alla parete. Viene accesa la lampadina. Io ricordo ai bambini che per confrontare diverse ombre è necessario avere sempre lo stesso riferimento e i bambini disegnano per terra i contorni dei sostegni che sorreggono la casetta e sulla parete i contorni dell’ombra. La prima esperienza che i bambini fanno consiste nel ruotare la casetta rispetto allo schermo e nel rendersi conto che la distorsione della figura è dovuta al fatto che i lati verticali a distanze diverse dalla lampadina si ingrandiscono in modo diverso (“Viene un po’ grande e un po’ basso perché un sostegno è più lontano dalla luce e più avanti dell’altro sostegno e l’altro è più vicino alla luce”). Successivamente i bambini muovono la casetta facendola restare parallela allo schermo in modo da avere ingrandimento dell’ombra senza distorsione.

Chiedo se è possibile modificare l’ombra senza spostare la casetta, e viene eseguito un secondo gruppo di prove nelle quali i bambini fissano tante posizioni successive per la lampadina avvicinandola progressivamente alla casetta, a partire da una posizione iniziale molto lontana (circa otto metri). Ogni volta che spostano la lampadina mantengono costante l’entità dello spostamento e hanno cura di segnare e numerare progressivamente sul pavimento i contorni dei sostegni della lampadina (“Se vogliamo far capire bene dal più grande al più piccolo [riferendosi alla grandezza dell’ombra], dovremo numerare le posizioni [riferendosi alla lampadina]”, “Dovremmo mettere il piede [il sostegno] lì e lì e lì ecc. e poi dove si vede più piccolo mettere 1, dove si vede più grande il numero che si vuole e in mezzo due, tre,...”). Su mio suggerimento vengono numerati anche i contorni delle ombre. Arrivati a posizionare la lampadina il più vicino possibile alla casetta, gli allievi provano a spostarla lateralmente, prima in un verso e poi nell’altro.

Nella discussione che accompagna le esperienze i bambini sottolineano esplicitamente il fatto che l’ingrandimento delle ombre può essere ottenuto indifferentemente spostando l’oggetto o spostando la lampadina. Tutti sanno prevedere correttamente dove si formerà l’ombra in corrispondenza di ogni posizione della lampadina anche se riesce loro molto difficile tradurre l’insieme delle singole intuizioni in una regola generale, nonostante una mia sollecitazione in questa direzione. Alla domanda “Cosa possiamo vedere, allora?... Che se spostiamo la luce da una parte…” rispondono solo due bambini, uno che ritorna al caso particolare (“Se spostiamo la luce da una parte, a sinistra, l’ombra va a destra e se è a destra l’ombra va a sinistra”), l’altra che forse vuole enunciare una regola generale, mettendo in evidenza che le appare controintuitiva, ma ha notevoli difficoltà di espressione (“E’ il contrario di quello che dovrebbe essere”).

A questo punto decido di passare alla costruzione del modello a raggi. Chiedo ai bambini di riconoscere punti corrispondenti dell’ombra e della casetta e successivamente domando come si potrebbero collegare l’uno all’altro i punti fra loro corrispondenti. Gli allievi suggeriscono subito di utilizzare dei fili, si sorprendono molto quando io mostro loro un rocchetto di filo tagliandone dei pezzi ed invitandoli ad usarli, e si adoperano con entusiasmo e grande cura per fare i collegamenti.

Una volta che tutti gli spigoli della figura d’ombra sono stati collegati a dei fili, chiedo dove arriverebbero i fili stessi “tirandoli dritti” oltre la casetta (avevo tagliato dei fili sufficientemente lunghi perché potessero arrivare dall’ombra fino alla lampadina). I bambini si accorgono immediatamente che i fili arriverebbero alla lampadina e decidono di praticare dei piccoli fori in corrispondenza degli spigoli della casetta per poter effettuare il collegamento senza alterare la direzione dei fili. Una volta collegati i fili ad un archetto di fil di ferro da me appositamente fissato davanti alla lampadina, la prima cosa che i bambini notano è che i fili “formano dei triangoli”.

Distribuisco agli allievi dei bastoncini di legno e li invito ad usarli per esplorare lo spazio delimitato dai fili, sia fra lampadina e casetta, sia fra casetta e parete. I bambini riescono in questo modo sia a riconoscere lo spazio d’ombra fra oggetto e schermo, sia ad identificare il fascio di luce che colpisce la casetta.

Chiedo ai bambini di prevedere come saranno i fili se si allontana la lampadina dalla casetta. “Più lunghi…l’ombra si rimpicciolisce e i fili diventano sempre più stretti”, “Nooo,…si, si” rispondono i bambini, e io li invito a provare. La lampadina viene spostata, lasciando però dov’era il ferretto con i fili attaccati, e vengono sistemati i nuovi fili. Le osservazioni confermano le previsioni  (“La prima lampadina, quella più vicina ha l’ombra numero sei, quella più lontana ha l’ombra numero zero [guardando i contorni delle ombre disegnati sulla parete e numerati], quindi [i fili] cambiano direzione: il triangolo prima è più preciso, dopo è meno preciso”, “Il triangolo è più stretto e più lungo”). Una bambina precisa che la figura formata dai fili è un triangolo solo fra lampadina e casetta, mentre fra casetta e parete i fili formano un’altra figura (“Non è un triangolo…, cioè se partivo da qua [lampadina] era un triangolo, invece se parte da qua [parete]…”).

Io chiedo se la luce può essere vista come tanti fili che partono dalla lampadina e una bambina risponde che “Praticamente quello [riferendosi all’insieme dei fili] è come la luce, perché va a raggi la luce, no?”. Siamo ormai alla fine di una lezione e nel poco tempo che resta si torna a discutere sui fili e si evidenziano essenzialmente problemi di linguaggio, dovuti al diverso significato che il termine

“dritto” ha per bambini diversi (“[I fili] vanno storti...vanno più dritti”, “Se vanno dritti non si possono restringere!”, “Anche se vanno dritti si possono restringere!”).

Termino la lezione assegnando un compito scritto di riepilogo sul lavoro fatto fino a quel momento (“Cosa abbiamo fatto? Cosa abbiamo imparato?”).

Dedico la lezione successiva alla discussione dei compiti, con l’intento di consolidare le conoscenze raggiunte, chiarire dubbi e costruire un linguaggio condiviso e non ambiguo. Nella discussione, nel corso della quale i bambini ricorrono a disegni alla lavagna finalmente comprensibili (non c’è il problema della sorgente all’infinito!), ci si mette d’accordo sui termini da usare per descrivere gli aspetti geometrici delle situazioni considerate e si sottolineano alcuni punti fondamentali. La luce va sempre dritta e i fili fanno vedere come va. Dritto vuol dire che mantiene sempre la sua direzione (“[Dritti] vuol dire linee o luce che vanno sempre nella stessa direzione e non curvano mai...il filo infatti faceva vedere come secondo noi era la luce, la direzione in cui andava la luce”). Allontanando la lampadina dall’oggetto, i raggi tendono sempre più a diventare paralleli (“Questi fili [della lampadina vicina] si restringono più velocemente perché sono più corti, invece quelli più lunghi [della lampadina lontana] si restringono lentamente...diventano sempre più dritti [paralleli]”). Anche lo specchio riflette raggi dritti: il loro percorso è composto da due tragitti -luce/specchio e specchio/parete- (“Dritti perché la lampadina [la luce ] la manda dritto allo specchio e lo specchio [dritto] all’oggetto”). La lampadina e il Sole mandano raggi in tutte le direzioni (“I raggi della lampadina vanno in tutte le direzioni”, “[Il Sole] diffonde e dopo questi raggi fanno luce dappertutto”). Per indicare le posizioni relative di ombra e lampadina non basta usare semplicemente termini come “su, giù, a destra, a sinistra” ma è necessario riferirsi alla posizione dell’oggetto (“Quando la luce è di qua e l’oggetto è di qua l’ombra si forma di là”, “L’ombra si forma davanti a te quindi vuol dire che sei di fronte al Sole, se qua c’è la lampadina e qua l’oggetto, per formarsi l’ombra [l’ombra] deve essere di fronte [alla lampadina]”).

Riemerge, ma resta ancora irrisolto, il problema della presenza o meno di luce nello spazio d’ombra; viene però escluso che la luce possa curvare.

Per evidenziare il ruolo di strumento di interpretazione e previsione del modello a raggi, propongo agli allievi un’esperienza a gruppi. Andiamo in palestra, dove ho preparato, davanti a due cartelloni bianchi fissati al muro, due banchi di lavoro con una lampadina, una sagoma quadrata, un rocchetto di filo, pennarelli colorati, forbici, scotch, sostegni per la lampadina e per la sagoma. Inizialmente chiedo ai bambini,  divisi in due gruppi di cinque, di disporre la lampadina e la sagoma in modo da ottenere un’ombra netta sui cartelloni a muro. I bambini dopo un po’ di tentativi riescono ad ottenere la situazione richiesta. Chiedo cosa devono fare per essere sicuri di poterla riprodurre e gli allievi segnano i contorni dei sostegni e anche dei piedi del banco. A questo punto faccio spegnere la lampadina e dico loro che dovranno trovare un modo per prevedere esattamente dove si forma l’ombra del quadrato. Si apre una breve discussione per decidere cosa si deve fare, che si conclude con la decisione di utilizzare i fili facendoli partire dalla lampadina e passare dagli spigoli del quadrato.

I bambini si mettono a lavorare in modo abbastanza diverso nei due gruppi: nel gruppo 2 tutti i bambini riescono a mettersi d’accordo sul da farsi, dividendosi i ruoli e lavorando con molta attenzione; nel gruppo 1 litigano fra loro e lavorano in modo scomposto. Quando entrambi i gruppi hanno disegnato i contorni previsti per l’ombra, accendo le lampadine. Mentre la previsione del gruppo 2 è confermata, l’ombra del quadrato non coincide con i contorni disegnati dai bambini del gruppo 1. I bambini sono molto delusi e vorrebbero rifare subito l’esperienza, ma io sottolineo che non ha senso rifare un esperimento  non  riuscito senza aver cercato di individuare quali errori possono essere stati commessi. Dopo una breve disamina di quello che può essere successo nel lavoro del gruppo 1, chiedo a entrambi i gruppi di fare una nuova previsione, disponendo però l’oggetto in modo che l’ombra non abbia più una forma quadrata. La nuova situazione non solo serve a far sì che anche il gruppo 2 sia motivato a continuare il lavoro, ma soprattutto può consentire una estensione del modello a raggi anche ai casi in cui l’oggetto non è più parallelo allo schermo (e quindi perpendicolare all’asse del fascio luminoso).

Alcuni bambini dicono di voler fare un’ombra triangolare, io li invito a provare e si rendono conto che non è possibile. Altri pensano di poter trasformare la stessa sagoma che fa da oggetto in una figura diversa dal quadrato semplicemente ruotandola intorno ad un asse ad essa perpendicolare. Io faccio notare che un quadrato resta sempre tale in qualunque maniera sia ruotato, anche se può essere disposto in maniera tale che la sua figura d’ombra non sia più un quadrato. I due gruppi svolgono l’esperienza e questa volta, nonostante le maggiori difficoltà operative legate alla disposizione della sagoma (entrambi i gruppi l’hanno disposta in un piano quasi orizzontale), le previsioni di entrambi i gruppi sono confermate.

Resta da verificare l’applicabilità del modello anche alla formazione di ombre in luce solare. Prima di fare l’esperienza ritengo opportuno avviare una discussione orientata sia a fare previsioni sulle ombre in luce solare, sia a riassumere le conclusioni raggiunte lavorando con i fili.

Mi rifaccio all’affermazione che i raggi del Sole sono dritti, riportata da un allievo in un precedente elaborato scritto (Blocco 5), chiedendo all’allievo cosa intendeva dire. La risposta, immediata, collega correttamente l’invarianza delle dimensioni dell’ombra e il parallelismo dei raggi solari  (“I raggi vanno dritti e l’ombra rimane sempre grande come l’oggetto” [il bambino si aiuta con i gesti indicando una situazione di perpendicolarità fra superficie dell’oggetto e direzione dei raggi solari]). Altri bambini ribadiscono la stessa idea (“Abbiamo detto prima che se mettiamo un oggetto, sotto l’ombra viene della grandezza dell’oggetto… quando c’era il Sole ”, “Perché è troppo lontano e quindi le ombre dovrebbero avvicinarsi almeno a tre metri dal Sole e almeno l’ombra dell’oggetto verrebbe grande tutta la terra” ). Chiedo ai bambini cosa succedeva invece con la lampadina e si apre una discussione nel corso della quale si arriva a diverse conclusioni. Dalla lampadina partono moltissimi raggi in tutte le direzioni che si “allontanano” fra loro (“[La luce] è fatta da tanti fili, da tanti raggi”, “Si devono aprire i raggi”). Una parte di tali raggi forma il fascio di luce che incontra l’oggetto e non può proseguire, di conseguenza si forma lo spazio d’ombra, mentre gli altri raggi vanno ad illuminare tutta la stanza (“[Il fascio di luce] inizia alla lampadina e finisce là [allo schermo]”, “Il fascio finisce sul muro...”, “Però illumina solo il bordo dell’ombra”, “Illumina anche qui e qui e tutta la stanza”).

A questo punto porto i bambini all’esterno e li divido in tre gruppi per favorire una maggiore partecipazione attiva di tutti al lavoro. Chiedo di rifare l’esperienza già fatta con la lampadina, limitandosi a collegare fra loro gli spigoli della sagoma quadrata e quelli dell’ombra da essa prodotta su un cartoncino bianco posto a terra, data l’ovvia impossibilità di collegare i fili al Sole. I tre gruppi lavorano con molto impegno ed organizzazione. Effettuati i collegamenti, i bambini non hanno difficoltà a riconoscere che i fili sono paralleli. Chiedo loro dove arriverebbero i fili se potessimo farli proseguire oltre la sagoma mantenendo la loro direzione. “Al Sole”, rispondono i bambini,  e giustificano il parallelismo dei fili riferendosi al fatto che il Sole “E’ troppo lontano”.

Tornati in classe per discutere sulle osservazioni fatte, due bambine notano casualmente, mentre scuotono uno straccio intriso di polvere di gesso, che dalla finestra entra un fascio di luce solare diretta che la polvere di gesso rende visibile e richiamano l’attenzione dei compagni. Ci si diverte a studiare la forma tridimensionale del fascio, chiaramente diversa da quella del fascio del proiettore, e la forma della “figura di luce” prodotta dall’intersezione del fascio col pavimento e ci si sforza di trovare parole adeguate per descriverle (“Un fascio di luce fatto di polvere”, ”Da un lato è un po’ più largo e da un lato è un po’ più stretto [riferendosi alla diversa altezza delle superfici piane che delimitano il fascio di luce]”, “E’ un rombo allungato…la figura di luce”) . Nel frattempo due bambine, guardando attraverso la finestra, si rendono conto che le ombre delle sagome quadrate si sono modificate (“Già l’ombra fuori si è restrinta”) e tutti vogliono andare fuori per vedere cosa è successo.

La modifica delle ombre è immediatamente attribuita al fatto che il Sole si è spostato ma, quando chiedo agli allievi se collegando nuovamente la sagoma e l’ombra si aspettano che i fili siano ancora paralleli, solo alcuni rispondono di sì. L’esperienza viene rifatta e tutti constatano di nuovo il parallelismo dei fili, arrivando alla conclusione che il Sole manda raggi paralleli indipendentemente dalla sua posizione.

 
Da “EDUCAZIONE SCIENTIFICA DI BASE:UN PERCORSO DI LUCE IN UNA CLASSE TERZA DI SCUOLA ELEMENTARE Tesi di laurea in fisica di eLISABETTA ZAMPIERI (Relatore Prof. Nella Grimellini Tomasini, Co-Relatore Dott. MARTA GAGLIARDI) A.A. 1997/98, III sessione