III tappa
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Partendo dall’osservazione, già riportata, riguardo alla spiegazione dell’ombra della mano sul tavolo (“Vedi, perché quando allarghi le dita, in mezzo alle dita c’è lo spazio di luce, invece dove copri, la luce non c’è”) propongo un’esperienza che ha lo scopo di avviare i bambini all’interpretazione dell’ombra come intersezione di una superficie con la zona di spazio tra oggetto e schermo non raggiunta dalla luce diretta della sorgente. 

Muovo nello spazio tra la mano e il tavolo diversi oggetti (una biro, un foglio di carta,…) in modo che i bambini possano vedere il modificarsi dei confini fra la zona dell’oggetto in ombra e quella illuminata e riconoscere che la zona considerata è tutta in ombra (“L’ombra è da qui [mano] a qui [tavolo]”, “L’ombra è dappertutto fino all’oggetto”). Le conclusioni raggiunte vengono generalizzate ridiscutendo la situazione, già vista, in cui il proiettore di diapositive era acceso davanti ad uno schermo di cartone. I bambini affermano che “dietro” al cartellone esisteva un “tubo di buio”, “buio di spazio” ,…”tondo allargativo”, “un tubo che si apre” (che tentano anche di visualizzare a gesti), che alla fine si conviene di chiamare “spazio d’ombra”.

Sorgono invece nuovamente difficoltà quando i bambini, portati all’esterno, sono invitati ad individuare i confini dello spazio d’ombra della scuola.

I bambini entrano ed escono dallo spazio d’ombra, divertendosi, in particolare, a mettere in relazione l’aumentare o il diminuire della parte di persona illuminata dal Sole con la progressiva comparsa o scomparsa della corrispondente figura d’ombra oltre il limite dell’ombra della scuola sul terreno (“Quando…eravamo vicini al cancelletto, lì eravamo all’ombra, quando vado così [indica un allontanamento dal cancelletto verso il limite dell’ombra sul terreno] c’è mezza ombra qui [sul terreno oltre il limite dell’ombra della scuola] e mezza ombra nello spazio d’ombra…la parte che si vede l’ombra è illuminata: per esempio se l’ombra si vede fino a qua [indicando sulla sua persona] tutto questo pezzo sei illuminato”).

Ciononostante non riescono a visualizzare nella sua globalità lo spazio d’ombra della scuola immaginandone tutta la superficie di confine: riescono solo ad individuare i contorni delle figure d’ombra visibili sul muro della scuola e sul terreno (“Finisce qui, a un metro e mezzo dal cancello”, “Guardando in terra ”, “Sui muri, sul pavimento…”). In effetti, la situazione all’esterno presentava due differenze fondamentali rispetto alle situazioni in classe e in palestra. Da un lato gli spazi interni alla scuola sono spazi “a misura di bambino” sia dal punto di vista operativo sia dal punto di vista percettivo, al contrario di quanto avviene all’esterno; dall’altro la geometria del sistema sorgente-oggetto-schermo non è la stessa nelle due situazioni (in un caso oggetto e schermo sono fra loro paralleli e in asse con la sorgente, nell’altro sono fra loro perpendicolari e contigui e non sono in asse con la sorgente). Queste differenze impediscono ai bambini di generalizzare alla situazione esterna l’intuizione di spazio d’ombra costruita in classe, che rimane ancorata alla possibilità di una visualizzazione concreta.

D’altra parte le osservazioni all’esterno portano i bambini a notare l’allungamento nel tempo dell’ombra della scuola, che viene correttamente collegata alla variazione di posizione del Sole. Per convincere chi non è d’accordo, si decide anche di mettere per terra un foglio bianco, tenuto fermo da un sasso  su cui poter segnare man mano il confine dell’ombra (“Mi sono accorto che il Sole si è spostato e ha fatto spostare l’ombra della scuola più avanti; fra un po’ quel sasso sarà coperto [dall’ombra della scuola]”, “Il foglio l’ha coperto [l’ombra della scuola]”).

Quando, tornati in classe, i bambini sono invitati a discutere gli appunti presi durante le loro osservazioni, una di loro cerca di rappresentare con un disegno alla lavagna la situazione in cui la persona era solo parzialmente illuminata. La bambina disegna solo gli elementi che hanno colpito la sua attenzione: se stessa, la linea che rappresenta il confine sul terreno della figura d’ombra della scuola, la figura d’ombra corrispondente alla parte di se stessa illuminata. Nel tentativo di far costruire ai bambini una schematizzazione della situazione che metta in relazione sorgente, oggetto e spazio/figura d’ombra, invito anche altri bambini a fare disegni alla lavagna e a darne spiegazione.

In effetti i bambini rappresentano nei disegni il Sole, la scuola, se stessi, l’ombra della scuola e di se stessi, cercando di collegarli attraverso “raggi” provenienti dal Sole, ma non riescono a ricostruire le situazioni che hanno osservato. Questo per diversi motivi: una rappresentazione corretta richiederebbe di saper passare da una situazione tridimensionale ad una rappresentazione bidimensionale, di possedere un concetto di “raggio di luce” adeguato alla spiegazione della formazione delle ombre ed in particolare di conoscere il modello a raggi paralleli (onde piane) per una sorgente all’infinito. I bambini si rendono conto di trovarsi nelle stesse difficoltà che avevano affrontato nel primo incontro (tentativo di spiegare l’illuminazione notturna da parte della Luna) e si decide di rinunciare ai tentativi di rappresentazione alla lavagna. Resta aperto il problema di cos’è e come si comporta un raggio di luce.

Proseguendo nella discussione sulle osservazioni fatte, quando si ricorda l’allungamento dell’ombra della scuola in conseguenza della variazione della posizione del Sole, un bambino tende a rifiutare l’evidenza sperimentale perché la

vede in contrasto con le conclusioni raggiunte lavorando sulle ombre in palestra (M: “[era successo] che l’ombra si era spostata, però se non si sposta la scuola, non si sposta sia l’ombra sia il Sole. La scuola rimane sempre della stessa lunghezza e rimane ferma e quindi l’ombra non si può allungare e spostare perché la scuola non si allunga, visto che abbiamo detto che l’ombra fa sempre quello che facciamo noi. Se per esempio metto una mano così [facendo fare ombra alla mano sul banco] vedi che non si allunga?!”, I: “Non si allunga perché le luci non si spostano, i neon. Il Sole si era spostato”).

Per dirimere la questione, partendo da un ulteriore controllo di quello che avviene nella realtà, propongo di osservare cosa avviene nel tempo all’ombra di un oggetto lasciato fermo su un banco. I bambini scelgono come oggetto un cubo di legno. Una bambina scopre l’analogia fra la geometria del sistema banco-cubo-Sole e del sistema terreno-scuola-Sole, riuscendo così a dare significato alla richiesta di individuare la forma dello spazio d’ombra della scuola, e spiega ai compagni quello che ha compreso. Si tratta di una bambina che ha notevoli difficoltà di espressione (“…quindi l’ombra della scuola dovrebbe essere sotto, ma siccome è lunga, cioè è alta, l’ombra viene questa qua. Più è alta la scuola più…. Cioè se prendo una biro e la metto così…ecc.), ma in questo caso riesce a farsi capire aiutandosi con la gestualità.

Le dimensioni dell’ombra (figura d’ombra e spazio d’ombra) vengono così esplicitamente collegate anche alle dimensioni dell’oggetto. Questo risolve in particolare il problema di un bambino che, ricordando che nelle esperienze fatte in palestra si avevano ombre molto grandi solo se l’oggetto era molto vicino alla sorgente, non riusciva a spiegarsi le dimensioni dell’ombra della scuola data la sua grande distanza dal Sole. (“Abbiamo detto che quando avvicinavo l’oggetto alla luce l’ombra veniva grandissima...qua c’è l’ombra grandissima della scuola però il Sole è lontanissimo quindi l’ombra grande può venire anche se non avviciniamo l’oggetto alla luce...”).

Questo stesso bambino si preoccupa di segnare accuratamente sul banco il contorno del cubo e della sua ombra, per poter controllare con sicurezza quello che succede. In questo modo gli allievi non hanno difficoltà a riconoscere, dopo un breve intervallo di tempo, che l’ombra si è spostata. Anche il bambino che aveva espresso inizialmente i suoi dubbi, arriva a dare una spiegazione corretta dello spostamento dell’ombra (“L’ombra, man mano che il Sole cambia posizione, si cambia anche lei di posizione”).

Inoltre, i bambini notano qualcosa di imprevisto: è cambiata anche la zona del banco su cui arriva la luce diretta del Sole. La scoperta li porta immediatamente a segnare anche i limiti della zona direttamente illuminata e ad inventare “traguardi” per lo spostamento previsto. La spiegazione del fenomeno è immediata e richiama anche nozioni apprese nello studio della geografia, forse non interpretate correttamente (“Perché è la terra che gira e il Sole si sposta e [la zona di banco illuminata dalla luce diretta del Sole] diventa sempre più piccola”).

Visto l’interesse suscitato nei bambini, li sollecito a prevedere cosa succederà. Nasce una discussione molto serrata, che prosegue anche dopo la scomparsa dell’illuminazione diretta nella stanza.


 

L’attenzione dei bambini è sin dall’inizio orientata alla considerazione di due aspetti diversi: che cosa succede all’ombra (inizialmente del cubo, poi di qualunque oggetto nella stanza) e che cosa succede all’illuminazione nella stanza. A questo punto del percorso didattico nasce all’interno della classe l’esigenza di affrontare e risolvere il problema dei diversi tipi di illuminazione (come si possono spiegare due intensità così diverse della luce solare?), collegato  in particolare al problema del conseguente aspetto delle ombre (grado di “intensità” della figura d’ombra e di definizione dei suoi contorni).

Ci si trova quasi alla fine di una lezione e preferisco utilizzare il poco tempo rimasto per rispondere ad un problema emerso verso l’inizio dell’incontro precedente e rimasto in sospeso, rimandando il proseguimento della discussione all’incontro successivo nel quale l’argomento potrà essere affrontato in modo più adeguato. Il problema da affrontare riguarda l’ingrandimento o meno dell’ombra di un oggetto se questo viene “avvicinato” al Sole. (“Per esempio una mano, se la metti…un po’ più alto, si avvicina al Sole…e quindi l’ombra viene più grande”, “L’ombra si ingrandisce ma di poco”, “Se io avvicino una cosa alla luce, qualunque luce, l’ombra si può ingrandire comunque. L’altra volta abbiamo detto che dobbiamo avvicinare l’oggetto per avere l’ombra grande”). Porto i bambini fuori, li invito a verificare quello che succede e i bambini si rendono conto dell’invarianza delle dimensioni dell’ombra. Nasce l’esigenza di trovare delle spiegazioni che salvaguardino la regola che è stata scoperta lavorando con lampadina e proiettore. Una bambina limita la validità della regola alle situazioni in cui la sorgente è ad una distanza relativamente piccola dall’oggetto, riconoscendo nella grande distanza del Sole l’elemento che distingue le due situazioni (“[l’ombra non si ingrandisce] perché il Sole è troppo lontano, è lontanissimo”). Un’altra bambina, convinta della generalità della regola, cerca invece di ricondurre il comportamento dell’ombra al comportamento noto, ipotizzando contemporaneamente l’esistenza e l’invisibilità dell’ingrandimento (“Forse si ingrandisce di un pochino che ci sta dentro [riferendosi al contorno dell’ombra tracciato con un pennarello a punta grossa sul foglio che funge da schermo]”). Le due opinioni non vengono comunque collegate fra loro. In un incontro successivo i bambini, vedendo di nuovo ingrandirsi l’ombra prodotta da una lampadina, ribadiscono le loro spiegazioni relative alle ombre prodotte dal Sole (“Il Sole era lontanissimo e l’ombra non poteva diventare né più grande né più piccola”) ed uno di loro fa esplicito riferimento alla trascurabilità dello spostamento dell’oggetto da una posizione ad un’altra rispetto alla distanza del Sole (“era troppo lontano [il Sole] per avvicinarlo [l’oggetto al Sole]”).

 
 
Da “EDUCAZIONE SCIENTIFICA DI BASE:UN PERCORSO DI LUCE IN UNA CLASSE TERZA DI SCUOLA ELEMENTARE Tesi di laurea in fisica di eLISABETTA ZAMPIERI (Relatore Prof. Nella Grimellini Tomasini, Co-Relatore Dott. MARTA GAGLIARDI) A.A. 1997/98, III sessione