Partendo dall’osservazione, già riportata, riguardo alla
spiegazione dell’ombra della mano sul tavolo (“Vedi, perché quando allarghi le dita, in mezzo alle dita c’è lo
spazio di luce, invece dove copri, la luce non c’è”) propongo
un’esperienza che ha lo scopo di avviare i bambini
all’interpretazione dell’ombra come intersezione di una superficie
con la zona di spazio tra oggetto e schermo non raggiunta dalla luce
diretta della sorgente.
Muovo nello spazio tra la mano e il tavolo diversi oggetti
(una biro, un foglio di carta,…) in modo che i bambini possano
vedere il modificarsi dei confini fra la zona dell’oggetto in ombra
e quella illuminata e riconoscere che la zona considerata è tutta in
ombra (“L’ombra è da qui [mano] a qui [tavolo]”, “L’ombra è
dappertutto fino all’oggetto”). Le conclusioni raggiunte
vengono generalizzate ridiscutendo la situazione, già vista, in cui
il proiettore di diapositive era acceso davanti ad uno schermo di
cartone. I bambini affermano che “dietro” al cartellone esisteva
un “tubo di buio”, “buio
di spazio” ,…”tondo allargativo”, “un tubo che si apre”
(che tentano anche di visualizzare a gesti), che alla fine si conviene
di chiamare “spazio d’ombra”.
Sorgono invece nuovamente difficoltà quando i bambini,
portati all’esterno, sono invitati ad individuare i confini dello
spazio d’ombra della scuola.
I bambini entrano ed escono dallo spazio d’ombra,
divertendosi, in particolare, a mettere in relazione l’aumentare o
il diminuire della parte di persona illuminata dal Sole con la
progressiva comparsa o scomparsa della corrispondente figura d’ombra
oltre il limite dell’ombra della scuola sul terreno (“Quando…eravamo
vicini al cancelletto, lì eravamo all’ombra, quando vado così
[indica un allontanamento dal cancelletto verso il limite dell’ombra
sul terreno] c’è mezza ombra qui [sul terreno oltre il limite
dell’ombra della scuola] e mezza ombra nello spazio d’ombra…la
parte che si vede l’ombra è illuminata: per esempio se l’ombra si
vede fino a qua [indicando sulla sua persona] tutto questo pezzo sei
illuminato”).
Ciononostante non riescono a visualizzare nella sua globalità
lo spazio d’ombra della scuola immaginandone tutta la superficie di
confine: riescono solo ad individuare i contorni delle figure
d’ombra visibili sul muro della scuola e sul terreno (“Finisce
qui, a un metro e mezzo dal cancello”, “Guardando in terra ”,
“Sui muri, sul pavimento…”). In effetti, la situazione
all’esterno presentava due differenze fondamentali rispetto alle
situazioni in classe e in palestra. Da un lato gli spazi interni alla
scuola sono spazi “a misura di bambino” sia dal punto di vista
operativo sia dal punto di vista percettivo, al contrario di quanto
avviene all’esterno; dall’altro la geometria del sistema
sorgente-oggetto-schermo non è la stessa nelle due situazioni (in un
caso oggetto e schermo sono fra loro paralleli e in asse con la
sorgente, nell’altro sono fra loro perpendicolari e contigui e non
sono in asse con la sorgente). Queste differenze impediscono ai
bambini di generalizzare alla situazione esterna l’intuizione di
spazio d’ombra costruita in classe, che rimane ancorata alla
possibilità di una visualizzazione concreta.
D’altra parte le osservazioni all’esterno portano i
bambini a notare l’allungamento nel tempo dell’ombra della scuola,
che viene correttamente collegata alla variazione di posizione del
Sole. Per convincere chi non è d’accordo, si decide anche di
mettere per terra un foglio bianco, tenuto fermo da un sasso
su cui poter segnare man mano il confine dell’ombra (“Mi
sono accorto che il Sole si è spostato e ha fatto spostare l’ombra
della scuola più avanti; fra un po’ quel sasso sarà coperto
[dall’ombra della scuola]”, “Il foglio l’ha coperto [l’ombra
della scuola]”).
Quando, tornati in classe, i bambini sono invitati a
discutere gli appunti presi durante le loro osservazioni, una di loro
cerca di rappresentare con un disegno alla lavagna la situazione in
cui la persona era solo parzialmente illuminata. La bambina disegna
solo gli elementi che hanno colpito la sua attenzione: se stessa, la
linea che rappresenta il confine sul terreno della figura d’ombra
della scuola, la figura d’ombra corrispondente alla parte di se
stessa illuminata. Nel tentativo di far costruire ai bambini una
schematizzazione della situazione che metta in relazione sorgente,
oggetto e spazio/figura d’ombra, invito anche altri bambini a fare
disegni alla lavagna e a darne spiegazione.
In effetti i bambini rappresentano nei disegni il Sole, la
scuola, se stessi, l’ombra della scuola e di se stessi, cercando di
collegarli attraverso “raggi” provenienti dal Sole, ma non
riescono a ricostruire le situazioni che hanno osservato. Questo per
diversi motivi: una rappresentazione corretta richiederebbe di saper
passare da una situazione tridimensionale ad una rappresentazione
bidimensionale, di possedere un concetto di “raggio di luce”
adeguato alla spiegazione della formazione delle ombre ed in
particolare di conoscere il modello a raggi paralleli (onde piane) per
una sorgente all’infinito. I bambini si rendono conto di trovarsi
nelle stesse difficoltà che avevano affrontato nel primo incontro
(tentativo di spiegare l’illuminazione notturna da parte della Luna)
e si decide di rinunciare ai tentativi di rappresentazione alla
lavagna. Resta aperto il problema di cos’è e come si comporta un
raggio di luce.
Proseguendo nella discussione sulle osservazioni fatte,
quando si ricorda l’allungamento dell’ombra della scuola in
conseguenza della variazione della posizione del Sole, un bambino
tende a rifiutare l’evidenza sperimentale perché la
vede
in contrasto con le conclusioni raggiunte lavorando sulle ombre in
palestra (M: “[era successo]
che l’ombra si era spostata, però se non si sposta la scuola, non
si sposta sia l’ombra sia il Sole. La scuola rimane sempre della
stessa lunghezza e rimane ferma e quindi l’ombra non si può
allungare e spostare perché la scuola non si allunga, visto che
abbiamo detto che l’ombra fa sempre quello che facciamo noi. Se per
esempio metto una mano così [facendo fare ombra alla mano sul banco]
vedi che non si allunga?!”, I: “Non si allunga perché le luci non
si spostano, i neon. Il Sole si era spostato”).
Per dirimere la questione, partendo da un ulteriore
controllo di quello che avviene nella realtà, propongo di osservare
cosa avviene nel tempo all’ombra di un oggetto lasciato fermo su un
banco. I bambini scelgono come oggetto un cubo di legno. Una bambina
scopre l’analogia fra la geometria del sistema banco-cubo-Sole e del
sistema terreno-scuola-Sole, riuscendo così a dare significato alla
richiesta di individuare la forma dello spazio d’ombra della scuola,
e spiega ai compagni quello che ha compreso. Si tratta di una bambina
che ha notevoli difficoltà di espressione (“…quindi
l’ombra della scuola dovrebbe essere sotto, ma siccome è lunga, cioè
è alta, l’ombra viene questa qua. Più è alta la scuola più….
Cioè se prendo una biro e la metto così…ecc.”),
ma in questo caso riesce a farsi capire aiutandosi con la gestualità.
Le dimensioni dell’ombra (figura d’ombra e spazio
d’ombra) vengono così esplicitamente collegate anche alle
dimensioni dell’oggetto. Questo risolve in particolare il problema
di un bambino che, ricordando che nelle esperienze fatte in palestra
si avevano ombre molto grandi solo se l’oggetto era molto vicino
alla sorgente, non riusciva a spiegarsi le dimensioni dell’ombra
della scuola data la sua grande distanza dal Sole. (“Abbiamo
detto che quando avvicinavo l’oggetto alla luce l’ombra veniva
grandissima...qua c’è l’ombra grandissima della scuola però il
Sole è lontanissimo quindi l’ombra grande può venire anche se non
avviciniamo l’oggetto alla luce...”).
Questo stesso bambino si preoccupa di segnare accuratamente
sul banco il contorno del cubo e della sua ombra, per poter
controllare con sicurezza quello che succede. In questo modo gli
allievi non hanno difficoltà a riconoscere, dopo un breve intervallo
di tempo, che l’ombra si è spostata. Anche il bambino che aveva
espresso inizialmente i suoi dubbi, arriva a dare una spiegazione
corretta dello spostamento dell’ombra (“L’ombra, man mano che il Sole cambia posizione, si cambia anche lei
di posizione”).
Inoltre, i bambini notano qualcosa di imprevisto: è
cambiata anche la zona del banco su cui arriva la luce diretta del
Sole. La scoperta li porta immediatamente a segnare anche i limiti
della zona direttamente illuminata e ad inventare “traguardi” per
lo spostamento previsto. La spiegazione del fenomeno è immediata e
richiama anche nozioni apprese nello studio della geografia, forse non
interpretate correttamente (“Perché
è la terra che gira e il Sole si sposta e [la zona di banco
illuminata dalla luce diretta del Sole] diventa sempre più piccola”).
Visto l’interesse suscitato nei bambini, li sollecito a prevedere cosa
succederà. Nasce una discussione molto
serrata, che prosegue anche dopo la scomparsa
dell’illuminazione diretta nella stanza.
L’attenzione dei bambini è sin dall’inizio orientata alla
considerazione di due aspetti diversi: che cosa succede all’ombra
(inizialmente del cubo, poi di qualunque oggetto nella stanza) e che
cosa succede all’illuminazione nella stanza. A questo punto del
percorso didattico nasce all’interno della classe l’esigenza di
affrontare e risolvere il problema dei diversi tipi di illuminazione
(come si possono spiegare due intensità così diverse della luce
solare?), collegato in
particolare al problema del conseguente aspetto delle ombre (grado di
“intensità” della figura d’ombra e di definizione dei suoi
contorni).
Ci si trova quasi alla fine di una lezione e preferisco
utilizzare il poco tempo rimasto per rispondere ad un problema emerso
verso l’inizio dell’incontro precedente e rimasto in sospeso,
rimandando il proseguimento della discussione all’incontro
successivo nel quale l’argomento potrà essere affrontato in modo più
adeguato. Il problema da affrontare riguarda l’ingrandimento o meno
dell’ombra di un oggetto se questo viene “avvicinato” al Sole. (“Per
esempio una mano, se la metti…un po’ più alto, si avvicina al
Sole…e quindi l’ombra viene più grande”, “L’ombra si
ingrandisce ma di poco”, “Se io avvicino una cosa alla luce,
qualunque luce, l’ombra si può ingrandire comunque. L’altra volta
abbiamo detto che dobbiamo avvicinare l’oggetto per avere l’ombra
grande”). Porto i bambini fuori, li invito a verificare quello
che succede e i bambini si rendono conto dell’invarianza delle
dimensioni dell’ombra. Nasce l’esigenza di trovare delle
spiegazioni che salvaguardino la regola che è stata scoperta
lavorando con lampadina e proiettore. Una bambina limita la validità
della regola alle situazioni in cui la sorgente è ad una distanza
relativamente piccola dall’oggetto, riconoscendo nella grande
distanza del Sole l’elemento che distingue le due situazioni (“[l’ombra
non si ingrandisce] perché il Sole è troppo lontano, è
lontanissimo”). Un’altra bambina, convinta della generalità
della regola, cerca invece di ricondurre il comportamento dell’ombra
al comportamento noto, ipotizzando contemporaneamente l’esistenza e
l’invisibilità dell’ingrandimento (“Forse
si ingrandisce di un pochino che ci sta dentro [riferendosi al
contorno dell’ombra tracciato con un pennarello a punta grossa sul
foglio che funge da schermo]”). Le due opinioni non vengono
comunque collegate fra loro. In un incontro successivo i bambini,
vedendo di nuovo ingrandirsi l’ombra prodotta da una lampadina,
ribadiscono le loro spiegazioni relative alle ombre prodotte dal Sole
(“Il Sole era lontanissimo e l’ombra non poteva diventare né più
grande né più piccola”) ed uno di loro fa esplicito
riferimento alla trascurabilità dello spostamento dell’oggetto da
una posizione ad un’altra rispetto alla distanza del Sole (“era
troppo lontano [il Sole] per avvicinarlo [l’oggetto al Sole]”).