Ciò che si "vede" dipende solo in parte dalla
luce che colpisce gli oggetti e che raggiunge i nostri occhi,
anche se, ovviamente, è da qui che si innesca il processo
della visione.
Per tutti i viventi, dai protozoi, agli insetti, ai molluschi
fino ai vertebrati più evoluti, ciò che viene "visto" dipende
fortemente da "chi" vede. Questo fatto deriva sia dalle caratteristiche
dell’organo della percezione sia (e sembra soprattutto)
dal fatto che gli stimoli sono sempre elaborati e “interpretati”,
per cui uno stesso oggetto può essere percepito in modo molto
diverso.
Esistono strutture caratteristiche nei diversi gruppi di animali
per "portare" la luce fino al tessuto di percezione: la luce
viene selezionata, filtrata secondo modalità del tutto peculiari:
ci sono cellule che fanno da sensori e che iperpolarizzano
la luce, altre che la depolarizzano, alcune sono sensibili
anche ai raggi UV, altre che "vedono" l'infrarosso: ci sono
animali con occhi dotati di strutture a lenti, altre a specchio.
C’è pertanto una grande selezione della luce prima
del suo arrivo alle cellule deputate alla percezione visiva
vera e propria.
Negli animali superiori, a livello centrale, avviene, oltre
a questa elaborazione dello stimolo visivo in quanto tale,
l’integrazione tra immagini diverse che si sovrappongono e
si associano tra loro per costituire l’immagine definitiva
che ne costituisce una sintesi.
Una buona rappresentazione di questo la si può trovare nei
quadri cubisti in cui gli artisti non rappresentano
le cose come l’occhio le vede, ma piuttosto come la mente
le pensa: raffigurano simultaneamente i vari aspetti e funzioni
prima della loro integrazione nell’immagine sintetica. Questi
pittori rappresentano pertanto in modo analitico le nostre
immagini mentali: non ci sono distorsioni della realtà, ma
singoli frammenti di visione: l’immagine si scompone nella
rappresentazione frontale, laterale, dal basso verso l’alto,
da dentro, ecc.
I soggetti dei loro quadri sono visti molto da vicino: se
ci avviciniamo molto ad una cosa, cambia la visione che ne
abbiamo: emergono particolari e dettagli, si creano rapporti
diversi, anche il colore varia, assumendo toni più forti.
Un volto osservato da vicino, da molto vicino, acquista tratti
nuovi e dà sensazioni spesso molto diverse da quelli che suscita
alla distanza “media” alla quale siamo abituati a guardarli.
Inoltre i volti che osserviamo più spesso sono quelli delle
persone amate, che vivono con noi, la loro visione implica
pertanto, necessariamente, un coinvolgimento psicologico:
i tratti stessi si modificano, si sdoppiano, le forme si sovrappongono
in un vortice di prospettive che si vanno a sovrapporre alle
sensazioni emotive che proviamo nei loro confronti.
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